L’arrivo a Tursi della famiglia Andreasso fu propiziato da un matrimonio. Tutto quello che il loro nome tradizionalmente rappresentava nel circondario calabro-lucano, per nobiltà, ricchezza e rispetto fu subito riconosciuto ed ebbe la considerazione e la stima più ampia che meritava, anche nel rapporto con la Chiesa. Ma, come una meteora, la scia degli Andreasso si eclissò nel volgere di circa 130 anni, agevolata dalla precaria felicità coniugale, fatta di troppe vedovanze e di pochi figli, ma di grande levatura. Gli eredi segnarono poi il loro passaggio definitivo nella capitale del Regno, a Napoli, dove furono protagonisti del diritto e amministratori della giustizia del livello più alto. Così la discendenza in loco scomparve per sempre, finanche nel ricordo della comunità tursitana, almeno da quando, assenti di fatto negli ultimi decenni, si allentò anche l’interesse per l’ultima cappellania. La famiglia Andreassi, dunque, è destinata a rimanere praticamente una sconosciuta. Ma, voglio sperare, non per tutti. Ci sono e ci saranno sempre coloro che coltiveranno il culto della memoria e l’amore per la storia, anche quella minore, particolare e unica delle proprie originarie radici. Dove il passato è solido può radicarsi forte anche l’idea del futuro.
Lo storico tursitano Rocco Bruno[1], citando il Nigro e il Muratori, ha scritto che il capostipite Vespasiano Andreasso arrivò a Tursi verso il 1620, proveniente da Rocca Imperiale (CS), comune calabrese pienamente integrato nell’allora diocesi di Anglona e Tursi (così denominata dal 1546). In effetti, gli Andreasso lucani erano originari del vicino comune di Oriolo (CS), anch’esso nella stessa diocesi come altri centri dell’alta Calabria, incluso Amendolara, dove la loro presenza è accredita almeno dal 1520 e dove tuttora si ammira il palazzo con il simbolo degli Andreassi (un animale che rimanda a una oca, altrove a una cicogna o a un cigno). Ma forse i loro avi arrivarono al sud addirittura dal centro Italia o dalla Lombardia, anche se attualmente non ci sono conferme per dimostrare il collegamento più antico con taluni signori del bresciano oppure con i nobili Andreasi di Mantova[2]. Di certo tale famiglia, dopo poco tempo, a Tursi aveva già consolidato ampiamente la consistenza dei legami, la sua indubbia importanza e l’alta reputazione di cui godeva non soltanto nella comunità locale. Ma è stata di breve durata, appena più di un centinaio di anni, la veloce e indiscussa gloria tursitana nella memoria collettiva, poi conclusa con il trasferimento dei discendenti a Napoli. Già dal secolo successivo i tursitani ne avevano perso progressivamente e definitivamente le tracce, con l’assenza ufficiale dal Catasto Onciario di Tursi, portato a compimento il 26 gennaio 1754 (quando Tursi, con i suoi 4.267 abitanti, era tra i centri maggiori della Basilicata). Comunque, al di là dei loro legittimi interessi, il segno lasciato è stato ragguardevole, per l’autorevolezza, l’equilibrio e la generosità del loro agire, oltre che in termini di affetto profondo e di duratura attenzione verso le comunità di Oriolo e di Tursi. Sono meritevoli di citazione sia il loro riconosciuto prestigio nelle scienze giuridiche sia i lasciti abbondanti nel paese d’origine e almeno una donazione tursitana (la propria “casa palazziata in strata Santa Crucis”, adattata per la sede della fondazione del Conservatorio delle Nobili/Nubili donzelle).
Sabina Vitale[3] è stata oltremodo gentile a inviarmi diverse fotocopie tratte dal testo di uno dei suoi avi, Giorgio Toscano[4], di Oriolo, avvocato e nipote di Vespasiano Andreasso. Il libro di Toscano, della seconda metà del XVII secolo (pubblicato postumo, nel 1996, a cura di Pina Basile, dell’Università degli studi di Salerno), è un memoriale autentico e ricco e conferma le intuizioni della Vitale, perché contiene una moltitudine di notizie relative alla famiglia Andreasso, alla Città di Tursi e ai legami con altre famiglie nobili tursitane.
Francesco Vespasiano Andreasso di Oriolo, nonno di Vespasiano Andreasso a Tursi
Giorgio Toscano (in seguito qui: GTt) descrive l’albero genealogico materno e inizia dal XVI secolo con il Dr Francesco Vespasiano Andreasso, di Oriolo, medico insigne e ricco, che sposò Vittoria Reca o Greca; da loro nacquero: Decio, Ascanio, Francesco, Lucrezia e Isabella Andreasso; il primogenito Decio Andreasso fu dottore di legge ed ebbe per moglie Isabella Marini, sorella del Dr Ottavio Marini, questi marito di Vittoria Toscano, sorella del padre di Giorgio Toscano; Decio e Isabella ebbero alcuni figli, Vespasiano, Virginia (poi moglie di Pietr’Antonio Toscano, padre di Giorgio) e Vitttoria Andreasso (sposa di Francescantonio Erario di Tolve, madre di Camillo, Isabella e Vincenza d’Erario).
Vespasiano Andreasso (? – Napoli, 1664), dunque, fu il primogenito del Dottor Decio Andreasso e Isabella Marini, poi “Dottore di legge (U.J.D.)”, quindi capostipite della famiglia a Tursi. Nel 1631, sposò Modestina de Consiliis, ricca ereditiera tursitana, unica figlia del Dottor Francesco Antonio de Consiliiis. Nella casa di questi “perchè v’era un federcommesso del consigliere de Giorgio suo parente, si trasferì nella casa di detta Modestina, unica figlia, col peso di porsi della famiglia de’ Giorgio de Consiliis[5]”, pertanto al loro unico figlio fu imposto il nome di Francesco Antonio Andreasso De Giorgio De Consiliis (data di nascita imprecisabile). Che sarà citato in famiglia come “il Presidente”, per i suoi incarichi prestigiosi nel Tribunale di Napoli e alla Regia Dogana di Foggia.
Dopo la morte della moglie Modestina de Consiliis, Vespasiano Andreasso “passò a seconde nozze” con la tursitana Virginia Panevino (? – 05/9/1651), ma non ebbero eredi. Figlia di Matteo Panevino Seniore, lei era già stata vedova due volte, in entrambi i casi con prole. Aveva sposato prima il Dottor Giulio Donnaperna e da loro nacquero: Antonello Donnaperna, dottore; don Matteo, canonico; Berardino, Antonio (diventato abate nel 1650 e oltre, battezzò come padrino il figlio del fratello Antonello[6]); e Solenne Donnaperna. Vedova del primo marito, Virginia Panevino si unì poi in matrimonio con Antonio Putignano, barone di Craco, costui figlio del barone Scipione. I Putignano avevano acquistato il feudo con molta probabilità fin dal 1605, perché Craco fu poi venduto nel 1642 proprio da D. Virginia Panevino per conto della sua unica figlia D. Veronica Putignano, che sposò il Dottor Michelengelo Latronico di Tursi. Morto il barone Antonio Putignano, la stessa Virginia passò a terze nozze proprio con Vespasiano Andreasso (zio di Giorgio Toscano), senza altri figli, quindi lei morì il 5 settembre del 1651. L’avvocato Vespasiano, già due volte vedovo, sposò allora (nel 1652?) in terze nozze Geronima Picolla (? – 1660 circa), parimenti di Tursi, anche lei pure doppiamente vedova del Dottor Gio: Antonio Asprella e di Giovanni Vincenzo Leone, e comunque senza figli. Con la morte anche della terza moglie, Vespasiano “abbandonò Tursi e si ritirò in Napoli, per andare a morire tra le braccia del figlio, ove visse circa tre anni e dopo se ne volò al Paradiso nell’anno 1664” (GTt).
A riprova delle origini oriolesi, del trasferimento a Napoli e della generosità, questo stralcio di documento, interessante già dal titolo del paragrafo nel testo originale di Toscano: “Orto del D.r Vespasiano Andreasso in contrada della Trinità”: <<Il D.r Vespasiano Andreasso mio zio, possedeva un orto in contrada della Trinità, pervenutogli da suoi antecessori, confina col retroscritto orto del D.r … Toscano, ed altri fini; quale D.r Vespasiano essendo andato a far casa in Napoli col figlio, con più sue lettere ci donò gli stabili, che possedeva in Oriolo, il ché ultimamente ci fu confermato dopo la morte di detto D.r Vespasiano dal D.r Francescantonio suo figlio, al presente degnissimo presidente della Regia Camera della Sommmaria, con sua lettera da Napoli, sotto li 4 gennaro 1667, che in mio potere si conserva con queste parole: “codesti stabili, che sono in Oriolo, so che non possono servirmi, sappia govarnarseli, e se potesse recuperare qualche carlino da codesta Università pure sarebbe suo, né so dirli altro, parendomi nel resto che Vostra…>> (GTt).
Francesco Antonio Andreasso, avvocato, giudice, presidente e regente
Il figlio di Vespasiano, Francesco Antonio Andreasso fu anch’egli Dottore di legge, essendosi laureato in Legge a Napoli, prima del 1653, in seguito divenne giudice della Gran Corte della Vicaria e Presidente Regia Camera della Sommaria, oltre che Presidente all’Ufficio della Gran Dogana di Foggia detta Regia Dogana Menapecudum Apuliae e poi Regente del Collateral Consiglio per S. Maestà. Fu lui che donò l’abitazione di famiglia, nell’attuale via San Domenico, per il citato Conservatorio delle Verginelle (crollato nel XIX secolo). Giorgio Toscano gli dedica queste parole elogiative: <<“Avendo atteso ai tribunali di Napoli, fece coll’aiuto di Dio gran progressi, perché avendo fatto il noviziato alle procure in breve ottenne il posto di avvocato de’ primari; indi a forza del Sig. Marchese d’Astrorga allora Vicerè del Regno fu tolto da tribunali e collocato al servigio di S.M. per Giudice della Gran Corte della Vicaria, non trascorsero molti anni, che passò nella Regia Camera per avvocato fiscale di quella, come troppo zelante del regal patrimonio, da dove poi pel suo merito in breve tempo fu portato alla dignità di Presidente della medesima Regia Camera della Sommaria e per maggior servigio di S.M. fu mandato per Presidente all’Ufficio della Gran Dogana di Foggia detta Regia Dogana Menapecudum Apuliae; posto occupato per prima dalli Regenti del Collateral Consiglio ed avendo fatta residenza per due anni con molto accrescimento della Regal Azienda, perché l’aria non troppo li confaceva avendoci passata infermità pericolosissima, ottenne licenza di ritornare in Camera, dove (ha servito) da Presidente di quella, e se Dio li concederà vita si spera infallibilmente che li suoi meriti l’abbiano da portare al collateral Consiglio per regente di Canceleria, per la quale ha avuto una volta la nomina e ne avrebbe ottenuto l’onore se li mezzi efficaci d’altri concorrenti non l’avessero prevenuto, egli però non tiene quest’ambizione, perché non ambisce partirsi da Napoli, né tampoco ci usa manifattura con denari e altri mezzi, così come ha fatto nell’altri posti, per li quali è passato per li soli suoi meriti.>> (GTt).
Il Presidente Francesco Antonio Andreasso “si casò giovinetto” nella città di Napoli, nell’anno 1645, con la signora Giovanna Savia Cangiana, nipote del Consigliere don Francesco Savio e cognata del Consigliere don Gio: Battista Jovino. Vissero molti anni insieme ma non ebbero figli, per la sterilità della moglie, che morì prima del 1670. “Perché li matrimonj per essere buoni e viverci con quiete devono essere uguali in tutte le condizioni, così di nascita, come di età e di sostanze, e perciò contrasse matrimonio con detta Anna Fusco, conforme del tutto mi donò parte con sua lettera, che da me si conserva in data de 19 febbraio 1670”, puntualizza ancora Giorgio Toscano nel suo libretto, aggiungendo chiaramente che l’Andreasso, allora avvocato, nonostante “avesse avuti molti partiti di Sig.ri di seggio, non vi volle applicare l’animo colla massima: si vis nubere, nube pari”. Ebbene, in quel mese dell’anno, Francesco Antonio si risposò in seconde nozze con la signorina Anna di Fusco, nipote e cognata del Consigliere don Giuseppe di Rosa, questi marito della sorella “con dispenza” (ma non è chiaro il motivo) e nipote “carnale” di Monsignor Quaranta, Arcivescovo d’Amalfi, e di Monsignor di Rosa, Vescovo di S. Angelo, suo cugino, oltre che nipote del Regente Capobianco, che ebbe per moglie la zia di Giovanna, “ed altri parenti tutti di qualità”. E “avendo il Grand’Iddio voluto ricompensare la sterilità della prima moglie con larga usura di fecondità nella seconda” (GTt), Anna Fusco partorì almeno quattro figli; Giuseppe Maria, Vespasiano, Teresa Maria, Geronima.
Dal primogenito Giuseppe Maria, la Vitale ritiene (non dal secondogenito Vespasiano, come sostiene il Bruno) sia proseguita la linea genealogica con un altro Francescantonio Andreassi, che fu anch’egli giudice della Vicaria dal 1701 al 1710. Con il definitivo spostamento dei rappresentanti della famiglia Andreassi nella Capitale del Regno si concluse il ciclo tursitano.
Il solido legame di discendenza con le famiglie Coperta e Toscano e con i Panevino
Un’altra ramificazione del legame con la famiglia Panevino rimanda direttamente a Giorgio Toscano, autore del prezioso memoriale nel quale descrive ovviamente soprattutto le personali vicissitudini familiari, ma dà ampio spazio agli Andreasso. Nel testo egli discorre della moglie Grazia Coperta (di Tursi) e dei suoi parenti materni e paterni, ovvero delle famiglie: Palumbo, Picolla, Andreasso, Valicento, d’Aloisio, Pasca, Basile, Quaranta, Mazzeo, d’Alessio, d’Elia, Formica (di Aliano), Panevino, Camerino, Donnaperna, Caputi, Quinto, Brancalasso, de Virgiliiis, Molfese (di Sant’Arcangelo), de Siderio.
Francescantonio Panevino, figlio del Dr Gio: Lorenzo Panevino e di Grazia Picolla, sposò Regina Coperta e la coppia ebbe almeno cinque figli: Gaetano, primogenito, si laureò; – Don Francesco Panevino, dottore, “che avendo eletta la via ecclesiastica si trattiene nella città di Napoli, esercitando la professione con diverse procure ed incombenze di que’ tribunali”; – Gio: Lorenzo Panevino, “s’è fatto religioso nell’Oratorio di san Filippo Neri, de’ chierici regolari nella città di Tursi, dove continua da sacerdote”; – Gio: Battista Panevino, figliolo, (si laurea forse nel 1694[7]; in un atto del 1702, era debitore censuario dell’utriusque iure doctor Pietr’Antonio Toscano, di Oriolo); – Lucrezia Panevino, “s’è monacata nel conservatorio di Tursi, fatto a sue spese dal Dottor Francescantonio Andreasso di detta città (suo fratello e cugino di G. Toscano), abitante e casato nella città di Napoli, dove avendo esercitato più gradi de’ Regi Ministri…”. Regina Coperta era “sorella itrinque congiunta” di Grazia Coperta (? – 1681), moglie in seconde nozze del citato avvocato Giorgio Toscano, di Oriolo, figlio di Pietrantonio Toscano.
Regina e Grazia Coperta erano figlie di Giambattista Coperta, vedovo e poi arcidiacono della Cattedrale di Tursi, e di Lucrezia Picolla, a sua volta figlia di Andrea Picolla che fu marito di Grazia Donnaperna. Ultima figlia di Grazia Picolla e del dottor Giovanni Lorenzo Panevino, fu Solenne Panevino che sposò il Dottor Prospero Rapone di Montalbano e dal matrimonio nacque Pietrantonio Rapone (di Montalbano era pure l’antenata della Vitale Domenica Rondinelli, nata il 25/10/1762, figlia di Livia Rapone di Montalbano e Filippo Rondinelli di Rotondella). Il 5 dicembre 1660 fu stipulato uno atto di convenzione mediante il quale l’U. J. D. Vespasiano Andreassi, marito in terze nozze della fu Geronima Picolla, zia degli altri eredi Panevino, Picolla e Coperta, riceveva in dono la propria parte di eredità dal magnifico Francesco Antonio Panevino e la moglie Regina Coperta, Giovanni Nicolò Panevino, il clerico Giuseppe Panevino, fratelli e procuratori di Solenna Panevino (tutti figli di Giovanni Lorenzo Panevino), i coniugi Grazia Picolla e Camillo Panevino, Grazia Coperta, moglie di Giorgio Toscano.
Un altro paragrafo del libro,intitolato nell’originale Stabili nella città e territorio di Tursi dotali dalla quondam Grazia Coperta, mia moglie,Giorgio Toscano ci informa della stipula matrimoniale: <<Dal sig.r D.r D. Gio: Battista Coperta (vedovo, diventato poi) arcidiacono di Tursi, mio suocero, tra le altre doti promessemi per contemplazione de matrimonio contratto tra me D.r Giorgio Toscano (n.1630) e detta Grazia sua figlia, vi furono docati 600 di stabili franchi e liberi, quali sono. Una casa in più membri con cortile, cellaro, soggrotto, cisterna ed altro, sito dentro detta città e proprio nel principio, quando si arriva nella piazza iuxta suoi notorj fini, estimato per docati 200. Un catoso nella contrada nel Mezzo Tumolo, confinato colle case do Medea Mazzario ed altri, estimato per docati 060. Una casa nella stessa contrada del Mezzo Tumolo, confinata con Tonino Bianco ed altri, stimata per docati 040. Un oliveto sito e posto nel territorio di detta città e proprio in contrada dell’Imbreci con 150 arbori e più d’olive stimato per docati 150 fu bruciato da uno di Colobraro, e pochi arbori restarono salvi. Tumola cinque di terre nel Pantanello e proprio alle case di Rago, a ragione di 30 docati la tumolata docati 150. In tutto docati 600. Dalle soprascritte tumole cinque di terre, da me ne fu ceduta una ettara in beneficio del capitolo di detta Città, il quale essendo creditore del detto arcidiacono, e questo possedeva ettara otto di terre in detta contrada del Pantanello, delli quali tumola otto, ne aveva a me assegnati ettari cinque; restarono per detto capitolo altru tumoli tre, e perché il credito superava il prezzo delle terre, li feci cessione d’una ettara delle mie, e si divise detto territorio ugualmente e però restarono per me tumoli quattro. Della suddetta roba n’appare assegnamento fattomi dal detto quondam arcidiacono, firmato di sua mano e testato da testimonj, sotto li dì primo agosto 1660.>>
Il Conservatorio delle nubili donzelle di Tursi
In un documento, del 1666, troviamo la descrizione dell’antefatto che portò alla istituzione delConservatorio delle nubili donzelle di Tursi: “Con i crediti sull’Università di Bernalda e di Craco spettanti al dottor Francesco Antonio Andreassi, commorante in Napoli, il quale vorrebbe far erigere nella chiesa di S. Anna extra moenia una cappella sotto il titolo di S. Caterina e dell’Annunciazione della Beata Vergine e, con la restante parte, debbano istituire un conservatorio femminile adattando a tale scopo la casa palaziata ‘in strata Santa Crucis’ dell’Andreassi, dopo aver ottenuto il beneplacito del vescovo di Anglona e Tursi, mons. Francesco Antonio de Luca”. L’iniziativa parte da padre Giulio Cesare Modarelli, preposito dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Tursi, con il dottor Giacchino Picolla e Francesco Antonio Panevino, quali procuratori del dottor Andreassi, potendo già disporre della somma riscossa da Vespasiano Fortunato di Gifuni. Virginia Guida, moglie del “magnifico” Vito Belvito di Tursi, vendette al canonico don Giovanni Maria de Leonardis e al dottor Gaetano Panevino, governatori del Conservatorio delle Donzelle Nobili di Tursi, ma non alla priora Madre Rosalia della Visitazione (al secolo Cornelia Panevino, priora almeno fino al 1694), “un terreno di tomola trentacinque, in parte ‘boscosi’, sito nel feudo di Anglona, per il prezzo di ducati ventuno, poiché si ritrova debitrice nei confronti di detto Conservatorio per la somma di ducati sedici e mezzo, essendo erede di suo padre, il fu Giovanni Antonio Guida; infatti quest’ultimo accese un annuo censo, in data 1651 settembre 18, a favore di Vespasiano Andreassi, padre del dottor Francesco Antonio Andreassi, fondatore del suddetto Conservatorio (notaio Leonardo Antonio de Mellis, 1692)”.
Nel tratteggiare il profilo della figlia monaca Agnesa Toscano (nata il 5 maggio 1671), il padre Giorgio Toscano offre altre notizie su Tursi e anche sulla fondazione del Conservatorio delle Nubili donzelle: <<Mia 6a figlia, da che fu figliola dimostrò sempre spiriti applicati a servire Dio e la beatissima Vergine in qualche chiostro di Religione e come che il Sig.r Presidente della regia Cam.a D.r Francescantonio Andreasso mio cugino, dopo la morte del D.r Vespasiano suo padre, il quale aveva lasciata in Tursi tutta la sua facoltà di stabili di non poca considerazione, e precise d’un bellissimo e commodo palazzo di più e diversi membri, con quantità di territorj, tutti aratorii, e precise a bombace, ch’è la maggiore industria di quel paese, vigne ed altre possessioni fruttifere e vedendosi allora destituito di figli con la prima moglie, si risolse di lasciare in quella città, sua natia patria, una perpetua memoria, e fu di formare per allora un divotissimo Conservatorio di Verginelle, sotto la protezione del Glorioso Patriarca s. Domenico; onde a sue proprie spese fece ridurre l’accennato suo palazzo a forma e modello di convento, con le abitazioni di tante celle, chiostri e commoda chiesa, e li cedè ed assegnò per dote tutti li accennati suoi stabili e possessioni, che possedeva in quella città, di modo che dopo qualche tempo, il conservatorio suddetto s’è ridotto a claustrale convento, dove si fa formalmente la solenne professione. In questo dunque la suddetta mia figlia Agnesa in età d’anni 15 volle andare ad inserrarsi per servire Dio e la B.V., mutandosi il nome di Agnesa in Cristina, e la casata da Toscano in Cristina della Natività, dove persevera con grande fervore di spirito e sempre con avanzo a gloria di Dio e della B.V., vi entrò nell’anno 1686 di novembre>>.
Le CAPPELLE di jus patronato
La nobile famiglia Andreassi possedeva ben quattro cappelle di jus patronato, tutte all’interno delle chiese di Tursi. Dall’esercizio di tale diritto di patronato, possiamo ricavare la conferma del resistente, ampio e duraturo legame affettivo e fiduciario con i nobili Panevino, ma anche alcune indicazioni delle loro residenze, con tutta probabilità nell’antico rione della Rabatana e San Michele (poi san Filippo Neri), e il loro attaccamento a Tursi, con l’ultima cappella dell’Assunzione, sulla quale tale diritto di giuspatronato è stato esercitato fino al 1750 circa, quindi ben dopo la loro uscita dalla scena tursitana, segno comunque che il legame è sopravvissuto almeno nei primi decenni.
La CAPPELLA DI S. CATERINA, dentro la storica chiesa parrocchiale diS. Michele Arcangelo, attiva dal 1665, se non prima, fino al 1735 circa; fu affidata alle cure per lunghissimo tempo di padre Giovan Lorenzo Panevino (agli inizi e dopo il 1700, dell’Oratorio di S. Filippo Neri, di don Domenico Taranto (verso il 1690), e in ultimo del rev. don Carlo Gagliardo, San Chirico.
La CAPPELLA DEL CARMINE (di “Santa Maria del Monte Carmelo”), eretta nella più antica chiesa di Tursi, poi Collegiata della Rabatana, fu attiva dalla seconda metà del XVII secolo ed ebbe come cappellani il rev. don Pietr’Antonio Durante e, dopo la sua morte, il canonico don Andrea Durante (“la presentazione e nomina di quest’ultimo a cappellano avvenne nel 1683, da parte di Giulia Rezza di Tursi, erede e nipote della fu Giulia Fiorino, sua ava”) e, in seguito, il cappellano padre Giovanni Antonio Margiotta, intorno al 1708.
La CAPPELLA DELL’ASSUNZIONE, pure nella Collegiata della Rabatana, tra il 1692 e 1742; cappellani furono due padri dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Tursi, padre Francesco Guida epadre Paolo Panevino, per moltissimi anni (1710-1742), forse addirittura ininterrottamente.
La CAPPELLA DI S. MARIA LE GRAZIE, dentro la chiesa di S. Anna extra moenia (costruita nel 1627), il canonico don Biagio Panevino fu a lungo cappellano, probabilmente dal 1714 al 1733.
Nella stessa chiesa di S. Annavi era un’altra cappelladella Beata Vergine del Carmine di jus patronato (?) e il rev. don Giovanni Tommaso di Pinto ne era cappellano, negli anni 1693-1704.
Si presenta più complicata la vicenda del BENEFICIO DI S. SILVESTRO, dentro la Cappella del Carmine, eretta nella chiesa di S. Anna è invece attribuito alla famiglia Coverta/Coperta, poi con gli eredi e congiuntamente con Gaetano Panevino, discendente del fondatore, il canonicoGiandomenico Coverta. Don Saverio Panevino fu ultimo cappellano nominato dai fratelli Gaetano, Giovan Battista e padre Gian Lorenzo Panevino. Gli successe don Francesco Toscano di Oriolo, la cui presentazione della nomina a rettore e cappellano fu fatta da Gaetano Molfese, di Santarcangelo (figlio di Arcangelo Molfese e Grazia Panevino) e dal dottor Francesco Panevino, di Tursi, quest’ultimo compatrono del beneficioperché figlio ed erede di Gaetano Panevino e discendente del canonico Giandomenico Coverta,fondatore della Cappellania “come da istrumento di fondazione rogato nell’anno 1620 a 14 novembre per mano del fu notar Giovanni Salvatore” (notaio Gaetano Nocerito, 1757[8]).
Ma un altro documento notarile, di due anni dopo, racconta una versione un poco diversa, poiché non è chiaro se trattasi dello stesso beneficio o di due distinte cappellanie. Si afferma, dunque, che il dottor Francesco Panevino, “per fare una pia disposizione in suggragio de’ suoi maggiori e per mantenere la devozione di S. Silvestro”, abbia assegnato al reverendo don Bernardo Toscano, di Oriolo, cappellano del beneficio di S. Silvestro, eretto nella Cattedrale di Tursi (il quale era succeduto al rev. arcidiacono don Saverio Panevino), “un capitale di ducati centosessantotto, grana trentatre e cavalli quattro con l’annua rendita di ducati cinque e grana cinque, poiché da anni non era stato più redatto l’inventario dei beni e delle rendite beneficiali e non se ne conservava alcun titolo di proprietà, a causa dell’incuranza dei precedenti cappellani” (notaio Giovan Battista Pasca, 1759).
Con tutta probabilità è questa la realtà dei fatti, suffragata da altri due atti notarili[9], uno così intestato: “Presentazione della nomina a rettore e cappellano del beneficio di giuspatronato laicale fondato dal canonico Giandomenico Coverta sotto il titolo di S. Silvestro dentro la Chiesa Cattedrale di Tursi nella persona di don Francesco Toscano, vacante per la morte di don Saverio Panevino (notaio Francesco Iacobino, 1757)”. Tale atto richiama un istrumento del 1621, dal quale si apprende che il canonico Giovanni Domenico Coperta, zio di Giovan Battista del giudice Orazio Coperta, il 14 novembre del 1620, fondò a Tursi un beneficio di giuspatronato laicale nella Cappella di San Silvestro, dentro la chiesa Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Tursi (notaio Giuseppe de Salvatore, 1621; notaio Giuliano Antonelli, 1620). E ogni dubbio sembra dissolversi, mentre solo un lampo torna a illuminare la storia della famiglia Andreassi, con i Coperta/Coverta, i Toscano e i Panevino.
Salvatore Verde ©
[1] Rocco Bruno, Le famiglie di Tursi dal XVI al XIX secolo, Romeo Porfidio Editore, Moliterno (PZ), 1989, III edizione aggiornata a cura di Gaetano Bruno, Valentina Porfidio Editore, Moliterno (PZ), 2016; Antonio Nigro, Memoria topografica ed istorica sulla città di Tursi e sull’antica Pandosia di Eraclea, oggi Anglona, Tipografia Miranda, Napoli, 1851; Ludovico Antonio Muratori, Uomini illustri del Regno di Napoli (in realtà: Raccolta delle vite, e famiglie degli uomini illustri del Regno di Napoli per il governo politico compilato da Ludovico Antonio Muratore, bibliotecario del serenissimo signor duca di Modena), Milano, Marco Sessa, 1755, ristampa Anastatica Forni, Ed. Bologna, 1972.
[2] Pochi frammenti di documenti dell’epoca anche precedente, però, ci informano dell’esistenza di rapporti almeno commerciali importanti, tra la famiglia Panevino (legata da vincoli familiari agli Andreasso) e il nobile Giovanni Paolo Castiglione di Mantova. Da un atto notarile del 14 aprile 1568, del notaio Lorenzo de Helis, si apprende di un debito nei confronti del nobile Castiglione da parte dei fratelli Panevino di Tursi, il sacerdote Pietro Antonio (“donno Petro Antonio panis et vino”) e il nobile Giovanni Lorenzo, “pro venditione et pretio cuiusdem stilii apoteca aromatarie”, per la somma di ducati cinquantaquattro e grana diciotto.
[3] Sabina Vitale, che vive a Napoli, può fregiarsi di una ascendenza di altissimo profilo, che scaturisce, a suo dire, dopo ricerche d’archivio dalle famiglie Andreassi, Brancalasso, Camerino, Coperta, De Virgiliis, Donnaperna, Panevino, Picolla, Toscano.
[4] Giorgio Toscano, Memorie di famiglia. Genealogie e cronache calabresi in Giorgio Toscano, Collana Quaderni di Storia del Mezzogiorno, n. 12, a cura di Pina Basile, Università degli studi di Salerno, cattedre di Filologia dantesca e Letteratura umanistica (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996). Dello stesso autore La storia di Oriolo di G. Toscano, a cura di Pina Basile (Roma, 1985). Giorgio Toscano (1630 – ?), figlio di Virgina Andreasso e Pietr’Antonio Toscano (? – 1650), si laureò in Giurisprudenza a Napoli il 24 luglio 1653, il successivo 26 dicembre rientrò definitivamente a Oriolo (CS), suo paese di origine, dove si stabilì e divenne poi Governatore, Giudice e Agente generale della sua Terra. Giorgio Toscano sposò Cecilia Freggi, prima figlia di Rosina La Canna e del Dr Francesco Antonio Freggi, entrambi abitanti di Casalnuovo (l’attuale Villapiana, CS). Il matrimonio di Toscano con Cecilia fu celebrato a novembre del 1658, ma a ottobre del 1659 lei morì di parto con il nascituro. Lo zio che abitava a Tursi, Vespasiano Andreasso, fratello della madre Virgina Andreasso, agevolò le seconde nozze di Giorgio Toscano, a giugno del 1660, con la tursitana Grazia Coperta, seconda figlia di Lucrezia Picolla e di Giambattista Coperta (la primogenita Regina Coperta si maritò poi con Francescantonio Panevino). Grazia e Giorgio, che ebbero almeno sette figli, abitarono a Tursi i primi due anni.
Giambattista Coperta era il sesto figlio di Regina Bianca e Orazio Coperta, entrambi di Tursi, città nella quale lo stesso Orazio era giudice nel 1601 (R. Bruno). Lo zio di Giambattista, Don Gio: Domenico Coperta, canonico della Cattedrale, fondò in tale chiesa la cappella di S. Silvestro con jus patronato perpetuo in beneficio di suo fratello Orazio (istrumento di dotazione e fondazione del 14 novembre 1620, notaio Giuseppe di Salvatore). Orazio Coperta e Regina Bianco ebbero non meno di sette figli: Florimenda, Antonia, Isabella, Vittoria, Lucrezia, Gio: Battista, Francesco Coperta. La famiglia si estinse con Giambattista Coperta (? – agosto 1671), che rimase vedovo e “s’applicò allo stato ecclesiastico e fatto sacerdote, per la sua abilità fu assunto alla dignità dell’arcidiaconato di quella Cattedrale, e più volte fu eletto e fatto vicario, così generale delle Vescovi, che pro tempore sono stati nella Diocesi di Tursi ed Anglona; come Capitolare nella loro morte o mancanze, qual ufficio per molti e molti anni esercitò con grandissimo decoro”. Ho dato volutamente ampio spazio al testo di Giorgio Toscano, per la puntualità dei dati inediti e per l’accurata descrizione, ma anche come modesto omaggio e forma di meritato risarcimento intellettuale, sia pure postumo.
[5] GTt (dal testo di Giorgio Toscano).
[6] Annotazione inedita di Sabina Vitale
[7] Annotazione inedita di Sabina Vitale
[8] Per una linea genealogica, va ricordato che Gaetano Panevino era figlio di Regina Coverta, figlia del vedovo poi arcidiacono Giambattista, figlio di Orazio Coverta, questi fratello del canonico Giandomenico Coverta, fondatore della Cappellania
[9] Devo alla talentuosa Rosanna D’Angella, ricercatrice d’archivio e studiosa di assoluto valore, una parte della documentazione ancora inedita relativa alla sua imponente ricerca genealogia dell’artista e poeta John Giorno (New York, 4 dicembre 1936 – 11 ottobre 2019), discendente della nobile e gloriosa famiglia Panevino.