La ricostruzione dei fatti che ha visto la tragica scomparsa della dj siciliana e di suo figlio, entrambi allontanatisi di casa la mattina del 3 agosto 2020
Sono ormai settimane che la “macchina” mediatica si è prepotentemente incentrata sul giallo di Caronia, sulla scomparsa di Viviana Parisi e di suo figlio Gioele. Un caso di cronaca nera ricco di distorsioni e pareri discordanti, capace di scuotere l’opinione pubblica non solo per via della brutale morte di un bambino di quattro anni, ma anche perché, ancora oggi, a distanza di tempo, gli inquirenti faticano nel dare una versione dei fatti, quantomeno verosimile di ciò che potenzialmente accadde in quel tragico giorno. In TV del resto sono in parecchi ed essersi occupati dell’accaduto, compresi diversi opinionisti non sempre di alto profilo e talvolta senza alcun tipo di nozione in ambito medico e criminologico. Ma attraverso un’attenta analisi dei dati emersi e grazie al confronto con ciò che la letteratura medica e di cronaca giudiziaria assurge in tali casi, è possibile fornire una tesi che ben si discosta da quanto affermato anche da esperti di settore. Quali sono le informazioni che abbiamo a riguardo? Cosa sappiamo del caso che più di tutti ho scosso l’estate nel nostro paese, e in che modo è possibile far derivare le azioni compiute dalla Parisi al possedimento di un complicato quadro diagnostico?
I dettagli dell’incidente
È un fatto ormai accertato che l’allontanamento della donna risalga alla mattina di lunedì 3 agosto. Degli attimi antecedenti la sua fuga da casa si sa poco: un biglietto per il marito che in quel momento si trova a lavoro, in cui scrive di recarsi a Milazzo per comperare un paio di scarpe per il figlio, una salsa di pomodoro preparata per il pranzo ed un cellulare, il suo, lasciato in casa. Viviana e Gioele si allontanano a bordo di una Opel Corsa, rinvenuta a 104 km di distanza all’altezza di Caronia, sull’autostrada Palermo-Messina. La donna ha imboccato l’uscita per Sant’Agata per circa 70 chilometri senza pagare il pedaggio e, tramite l’A20, dirigendosi verso Palermo. La sua corsa finisce dopo ulteriori 14 km a causa di una collisione con un furgone di operai che transitavano nella direzione opposta, appena al di fuori della galleria. Uno schianto descritto dall’autista come «abbastanza forte», tale da procurare la rottura di un vetro all’auto e la foratura di uno pneumatico. I due operai vedranno la Parisi solo di spalle, mentre si dileguerà appena dopo l’incidente, scavalcando il guardrail e svanendo nelle campagne. Di Gioele non vi è traccia; gli operai, intenti a deviare il traffico al di fuori della galleria, affermeranno infatti di non aver visto alcun bambino con la donna. Il fanciullo verrà tuttavia notato da una telecamera posta nelle vicinanze e da alcuni testimoni, una famiglia del Nord-Italia che chiamerà il 112, salvo poi sparire e rendersi irreperibile fino al giorno 16 di agosto; sarà questo infatti il momento in cui i testimoni riferiranno alle forze dell’ordine di aver visto Gioele, dopo l’incidente, assolutamente vivo e senza alcuna ferita, in braccio alla madre. Dalla successiva analisi dei tempi di ricostruzione del tragitto compiuto dalla donna, emergono tuttavia dettagli non chiari riguardo soprattutto al buco temporale di 20 minuti collocabile dall’uscita dal casello di Sant’Agata di Militello al successivo rientro. Non vi sono ancora versioni ufficiali su cosa abbia fatto la donna in questo lasso di tempo, ma solo supposizioni.
Dopo il 3 agosto sono state diverse le ricerche concentratesi soprattutto nelle aree limitrofi l’incidente; giorni senza alcun esito risoltisi in un tragico risvolto solo la mattina di sabato 8 agosto. Il cadavere della donna sarà rinvenuto vicino un traliccio dell’alta tensione verso le ore 15 grazie all’ausilio dei cani molecolari. Il corpo, in avanzato stato putrefattivo, è stato riconosciuto tramite alcuni degli indumenti indossati dalla donna al momento della fuga, tra cui un paio di scarpe bianche ed una catenina, mentre il corpo di Gioele è stato ritrovato da uno dei volontari alle ricerche, un carabiniere in congedo, solo il 19 agosto, a poche centinaia di metri dal traliccio. Sul cadavere del bambino viene disposta nei giorni successivi l’autopsia, ma gli esami tanatologici e in sede medico legale non riescono ad evidenziare, al di là di ogni dubbio, né la dinamica, né l’epoca della sua morte. Gli unici elementi rilevati sono delle «lesioni da macro fauna», ovvero delle mortificazioni agli arti, e del terriccio.
La Piramide della luce
Solo con il passare dei giorni è stato possibile scovare dettagli interessanti sulla vita della donna, particolari in grado di portare l’analisi criminologica in determinate direzioni. La domanda fondante l’analisi, e che più di tutti smuove media ed opinione pubblica, risulta essere quella relativa alla reale dinamica dell’accaduto e di come i due soggetti siano morti. Possiamo partire direttamente da alcune delle informazioni derivanti dalle affermazioni della famiglia di Viviana: la donna, soltanto pochi giorni prima, si era interessata ad una struttura sita in Motta d’Affermo, in cui si svolgono tutt’oggi atti relativi alla religione e relativi al concetto della rinascita, «una installazione artistica cui, nel tempo, si è legata una diffusione mistica» come dichiarato in seguito dall’avvocato. Ma perché recarsi in quel luogo senza nulla dire al marito? È verosimile credere che la Parisi stesse vivendo un intenso periodo di avvicinamento alla fede cristiana soprattutto dopo il lockdown, e a dimostrazione di ciò vi è da annoverare anche un suo ricovero in ospedale avvenuto proprio in quel periodo dopo aver vissuto intensi momenti altalenanti, giorni in cui le cose sembravano andare per il meglio e momenti in cui la situazione peggiorava sensibilmente. Dolori psichici che la donna cercava di alleviare tramite la lettura di testi sacri, come la Bibbia, o di altri scritti trattanti la speranza e la solitudine (saranno diversi i post della donna condivisi su Facebook a riguardo).
In tal senso è utile ricordare anche il certificato medico datato 17 marzo, rilasciato dall’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto e reso pubblico dal marito della donna il 19 agosto, in cui è espressamente citata non solo la presenza di stati paranoici nella donna ma anche della crisi mistica. Se nel primo caso si intende uno stato alterato in cui il soggetto, nonostante il mantenimento di una logica di pensiero coerente, possiede comunque una percezione distorta della realtà, le crisi mistiche non hanno una specifica connotazione medico-scientifica ma restano identificabili come disturbi deliranti in cui la vita della persona è fortemente compromessa dalla tematica religiosa. Interessanti risvolti ci pervengono inoltre dai primi risultati autoptici: si parla di fratture multiple soprattutto a livello delle vertebre e degli arti, poco compatibili con un incidente automobilistico di quella entità, considerando altresì il successivo tragitto che la donna avrebbe compiuto con il figlioletto in braccio. Neppure uno stato alterato avrebbe permesso alla donna di sopportare un simile dolore. Più probabilmente tali fratture sono da ricollegarsi ad una caduta dall’alto. Un suicidio messo in atto dalla donna che avrebbe deciso di porre fine alla sua vita gettandosi dal traliccio, luogo di rinvenimento del cadavere. Di poco conto invece l’ipotesi di un’aggressione da parte di due cani di grossa taglia, tesi passata sommariamente al vaglio e subito scartata.
Gli ultimi istanti
Una delle telecamere che ha ripreso gli ultimi attimi di vita di madre e figlio e quella collocata al distributore di benzina di Sant’Agata. Le videoriprese testimoniano che sia la Parisi che il figlio fossero ancora vivi in quell’istante. Dunque quali ipotesi occorre considerare inerentemente la morte di Gioele Mondello? Una morte avvenuta in seguito all’incidente è improbabile, e sia i testimoni che le ultime analisi effettuate con il Luminol, accertanti l’assenza di tracce ematiche del figlio nell’auto, lo testimoniano. La fuga della donna con in braccio il figlio morto sarebbe da intendersi poi come un atto assolutamente insensato in quanto, nonostante la presenza di uno stato psichico labile, come affermato anche dall’avvocato di famiglia, «Viviana avrebbe chiesto aiuto, si sarebbe messa a urlare perchè la salute del bambino aveva la precedenza su tutto». Alcuni sostengono che la donna si sia scientemente allontanata per il timore che il suo stato psico-fisico potesse portare gli assistenti sociali e chi di competenza a toglierle la responsabilità genitoriale. Di certo il ricovero in ospedale, la paura, l’ansia e la sua reticenza alle cure potevano certamente instillare in lei il dubbio. I familiari hanno più volte descritto dell’immenso amore che Viviana aveva verso il suo bambino, una mamma che avrebbe fatto di tutto per assicurare la sua salute e che mai aveva mostrato comportamenti ambivalenti verso di lui. Nonostante ciò vi sono alcune considerazioni da fare, soprattutto alla luce del complesso quadro diagnostico posseduto dalla donna. Si parla nella fattispecie di un delirio mistico, una situazione in cui il soggetto a causa della sua abnorme vicinanza all’entità divina agisce e si comporta in sua funzione; una vera e propria deriva mistica che, sotto il profilo puramente psichiatrico, sottende una molteplicità di fattori ed elementi.
Perché se da un lato è accertata la presenza di uno sconfinato amore della Parisi verso il figlioletto, d’altra parte la storiografia e la statistica ci indicano di come nella maggior parte dei casi l’omicidio dei figli, non più in tenerissima età, sia cagionato da madri amorevoli e premurose, i cui deliri convincono che sia il bambino che loro stesse siano in grave pericolo, e che non possano avere scampo da un male visibile (il Covid19?). Molte volte si tratta di soggetti che appaiono superficialmente tranquilli, capaci di dissimulare. Potrebbe quindi trattarsi di un classico caso di omicidio/suicidio? Seppur questa ipotesi sia stata aprioristicamente rigettata dalla famiglia appare oggi una delle conclusioni più probabili di questa triste vicenda. La morte di Gioele è verosimilmente il risultato di un’azione delirante di tipo mistica e/o paranoide che ha indotto la madre ad agire per poi suicidarsi. Un allontanamento premeditato, dunque anticipato mentalmente tempo prima. Non son da ritenersi attendibili le versioni di alcuni studiosi del settore che imputano la morte del piccolo figlio alla disidratazione e alla successiva fauna selvatica del posto, essendo quest’ultima composta da animali che solo raramente attaccano le persone ma soprattutto in condizioni di estrema difesa. I resti rivenuti del piccolo Gioele sono invece il più probabile risultato di un’azione saprofaga e non un attacco diretto al bambino ancora in vita.
Prime conclusioni
Rimanendo in attesa di eventuali altri risvolti derivanti dalle analisi che ancora oggi si stanno protraendo, è possibile giungere a delle prime considerazioni per cercare di delineare una sommaria consecuzione di eventi nel giallo di Caronia. Considerata l’accertata presenza di patologie psichiatriche nella donna, consistenti in stati paranoici e derive mistiche è probabile pensare ad un allontanamento da casa premeditato. L’incidente subito non ha fatto altro che esacerbare ancor di più una situazione già di per sé complicata, costringendo la donna a fuggire dal luogo dello schianto e a dileguarsi nella vegetazione circostante (delirio persecutorio?). Le lesioni riportate dalla donna escludono inoltre che l’incidente possa aver avuto conseguenze serie, e soltanto una caduta dall’alto, e nella fattispecie dal traliccio dell’alta tensione nei cui pressi è stato rinvenuto il cadavere, può giustificare una tale traumatologia (frattura vertebre e agli arti inferiori e superiori). Riguardo la morte di Gioele, posto che soltanto i prossimi risultati laboratoriali potranno escludere eventuali altre dinamiche, l’omicidio resta la pista più verosimile, in quanto seppur le patologie psichiatriche possedute dalla Parisi non implichino necessariamente un nesso causale degli eventi, e nonostante il figlicidio raramente avvenga in tempi successivi ai primi giorni di vita dell’infante, l’incidente tra le auto può aver compromesso ulteriormente lo stato psichico della donna, portando quest’ultima a comportarsi in modo del tutto irrazionale ed incoerente, uccidendo dapprima il bambino e poi suicidandosi. Dello stesso parere anche la letteratura clinico-scientifica, indicante come causa maggiore di figlicidio-suicidio la possessione di patologie quali depressione, spunti psicotici, ed altri disturbi della personalità. Resta da chiedersi come sempre se una tale tragedia potesse essere evitata. L’allontanamento preventivo del figlio dalla donna ed un periodo di cure ed osservazioni, considerato il quadro clinico della Parisi, avrebbe potuto salvare le due vite o avrebbe solo peggiorato lo stato di salute di una madre malata?
Dott. Pasquale Castronuovo
Criminologo e sociologo forense