“Mio fratello Domenico è stato la persona più buona che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita. E più ci penso e più mi rendo conto che è proprio così”. Sono le parole spontanee, semplici, intense, tenere e struggenti dell’amatissima sorella Rita Romano, trentaquattro anni, architetto, incrociata alla veglia funebre, nell’abitazione di Policoro. Un dolore straziante il suo, che condivide assieme ai genitori entrambi pensionati, belle persone, distrutte dal dolore, increduli.
Il padre Vincenzo, prossimo ai settant’anni, è stato medico, ufficiale sanitario del comune di Tursi e cardiologo, poi responsabile del locale Distretto sanitario di base, ma anche un intellettuale e autore di un saggio meditativo sulla propria esistenza. La madre Celeste Lavini, una lodata docente di Italiano, Storia e Geografia al Liceo della cittadina jonica. Una famiglia perbene, molto nota e stimatissima nel circondario, anche umile, dai modi sempre gentili, nonostante la sobria agiatezza che l’ha sempre contraddistinta. Si tenta di dare loro conforto con la presenza di una moltitudine di amici tursitani e policoresi, accorsi per l’estremo saluto a un giovane che ha lasciato un segno indelebile in tutti coloro che l’hanno amato o semplicemente conosciuto.
Domenico Romano è morto la sera di giovedì 8 ottobre nella propria casa, a seguito di un infarto. Aveva 36 anni, essendo nato il 22 giugno1979 a San Giorgio a Cremano, ma residente da sempre a Tursi con la famiglia, prima in una traversa di via Roma e poi in via Cristoforo Colombo. Da qualche anno si alternavano nel domicilio di Policoro. Domenico si era egregiamente laureato in Fisica all’Università di Roma e poi ha preso una decisione importante, anzi fondamentale per la sua vita, forse imposta dalle circostanze, ma questo, lungi dallo sminuire, ne esalta la genuinità del gesto: ritornare a casa e assistere il padre nella lenta e faticosa opera di recupero, dopo un serio problema di salute avvertito circa cinque anni addietro.
Una scelta controcorrente e non usuale, perciò coraggiosa e di smisurato affetto filiale. Un atto d’amore totale misto a sacrificio al contempo, che però aveva la matura consapevolezza del senso pieno del vivere, come nell’intento di restituire al padre tutte le attenzioni, il sostegno e l’incoraggiamento che lui aveva ricevuto da bambino. Credo sia questa la lezione più grande che ci lascia in eredità un giovane appartenente a una famiglia come poche attente al valore del rispetto, dell’amicizia, della cultura. Un nucleo familiare che ha saputo farsi amare dal popolo.
Alto, slanciato e di carnagione chiara, Domenico era stato sempre bellissimo, intimamente assai educato, una persona rara e oltremodo sensibile, pieno di attenzione verso tutti, intelligente, all’affannosa e costante ricerca si sé e quasi romantico sognatore. Adesso pareva riposare nella sua stanzetta, ancora con qualche libro d’avventura, tra gli altri, memoria di passate letture da ragazzo. Era disteso sul lettino, come se dovesse svegliarsi da un momento all’altro, vestito a nuovo, sportivo ed elegante come lo sono tanti giovani d’oggi, vivi e vitali, con scarpe da passeggio e pantaloni scuri, camicia azzurro tenue e giacca in una tonalità del grigio, mentre i capelli curati e non lunghi si armonizzano all’accenno di barba e il rosario tra le mani poggiate sull’addome. Si, uno splendore di giovane, dentro e fuori.
La morte lo ha strappato alla vita, ai suoi cari e a tutti, ma lo ha lasciato intatto, si è preso tutto di lui ma non ne ha intaccato minimamente l’aspetto gradevole e sereno, quasi un’assurda e mitologica forma di rispetto verso un’anima, che ha saputo anche avvertire il disagio della fragilità della condizione umana, talvolta in solitudine e in silenzio.
In una ipotetica gerarchia del dolore, la perdita di un figlio è la più devastante, proprio perché innaturale rispetto ai genitori. Quando ciò accade, come sanno bene le persone toccate così duramente dal destino, e come possono solo intuire tutti gli altri, non si trovano più le parole, perché noi precipitiamo nello smarrimento, sembra che non ce ne siano, perché le abbiamo esaurite, solo il silenzio pare contenerle e le sappia trasmettere con empatica partecipazione.
E quando i secondi, i minuti e le ore passeranno, allora l’intensità di una dolorosa condizione si percepirà come duratura, rispetto ai giorni e alle settimane e ai mesi futuri, e in quel tempo il senso della perdita si farà più lacerante, pervasivo e incolmabile, proprio perché si protrarrà in tutti gli anni a venire, per tutta la vita, senza mai dimenticare, neppure per un attimo. Ma in questo vagare impotenti nella tempesta dei pensieri ci accorgiamo che non si è soli. Non si dimentica mai un ragazzo che, nello stesso caseggiato per quasi dodici anni, abbiamo visto crescere da bambino e amato come un figlio, che ci mancherà tantissimo, per sempre.
Sabato 10 ottobre, i funerali nella chiesa del Buon Pastore a Policoro, poi l’ultimo viaggio e la sepoltura nel cimitero di Policoro.