Attendibilità e credibilità di un testimone. È possibile riconoscere un bugiardo?

Scritti corsari
Pasquale Castronuovo

Storia, analisi e approfondimenti su una delle maggiori materie inerenti la Criminologia in sede di interrogatorio: la Psicologia della Testimonianza.

La “memoria” è sicuramente uno degli argomenti che più interessa la collettività, tanto che il solo parlarne desta talvolta preoccupazione riguardo le dimenticanze della vita quotidiana. Già in passato gli antichi Greci si interrogavano su cosa potesse realmente significare questo termine; c’era chi come Platone la intendeva in senso metafisico, e chi come Aristotele confidava nella fisicità di tale elemento, e che le sue sedi potessero essere il cuore, il fegato o altri organi.

A tutti sarà capitato almeno una volta di chiedersi come fare per riconoscere se un soggetto menta oppure dica la verità, e se esista un modo per farlo. Lungi dal considerare tutti i meccanismi e gli strumenti adoperati da anni in sede di testimonianza, ma che ancora oggi stentano a fornire indicazioni utili sulla veridicità o meno di una dichiarazione, si cercherà piuttosto di approfondire le differenti manifestazioni di una menzogna sia a livello verbale che non verbale.

Perché seppur la maggior parte dei soggetti tenda ad attribuirsi una scarsa capacità nel mentire, è scientificamente dimostrato che le persone siano molto più abili di quello che possano credere (“illusione di trasparenza”). Uno stesso discorso potrebbe applicarsi a parti invertite, ovvero quando si tratta di scovare una bugia: la maggior parte della gente è infatti convinta di essere molto più capace degli altri nel rilevare falsità, quasi come se si possedesse un bizzarro un “sesto senso”.

Ma cosa c’è di vero in questo? Davvero siamo in un mondo pieno di provetti Sherlock Holmes?

Gli elementi da considerare sono molteplici

Iniziamo con il dire che per Franco Ferracuti, criminologo e psichiatra forense, vi sono diversi tipi di menzogna: quella volontaria, utilizzata cioè in modo cosciente; quella psicogena o patologica, riguardanti rispettivamente soggetti con complessi di inferiorità che inventano avvenimenti eroici, o persone con insufficienza intellettiva o della struttura della personalità; ed infine la mitomania, utilizzata da isterici o bambini e adulti che cercano di convincersi dell’invenzione di fatti stupefacenti o fuori dal normale.

L’uomo non ricorda affatto le falsità dette, poiché quando si mente, quasi tutti risultano più propensi a ricordare solo le bugie meno importanti, quelle “bianche” o veniali, mentre nel momento in cui occorre ricordare le falsità detteci, ci si concentra maggiormente su quelle più “grosse”, quelle maggiori, dunque più facilmente individuabili.

Da cosa deriva questo squilibrio?

Uno dei “bias” più comuni in tal senso è quello di affidarsi ai falsi miti, alle credenze comuni, aventi alcun fondo di veridicità scientifica, ma che ci rassicurano aumentando notevolmente la nostra pretestuosa e illogica abilità di “ricercatori della verità” (es. credere che un mentitore distolga lo sguardo dal proprio interlocutore poiché deve “nascondere qualcosa”). Vi è inoltre un ulteriore fattore, ovvero l’effettiva difficoltà nel riconoscere ed individuare le bugie. Solo attraverso l’integrazione di più dati è possibile individuare con maggiore probabilità un racconto genuino, lavoro non certamente facile neppure per i più esperti.

Gli indicatori di una menzogna sono molto più complessi di quanto si creda, e nessun segnale o comportamento potrà mai indicare con certezza la presenza o meno di una bugia nelle parole di una persona, in quanto, nessuno di questi, appare solo e soltanto quando si mente, ma è più probabile che possano riscontrarsi anche in altre situazioni.

Gli alti tassi di stress permanenti riscontrabili in un soggetto, possono certamente dipendere dalla paura di essere scoperti, dalla consapevolezza di ingannare il proprio interlocutore e dall’ansia di non fornire un racconto aderente alla realtà, ma è necessario considerare che un “mentitore”, conscio del fatto che la sua versione non sarà data per scontata o automaticamente accettata, e considerate le negative conseguenze dell’essere scoperti, tenderà a controllare molto di più i suoi atteggiamenti e le sue reazioni, dando meno nell’occhio durante un colloquio informale, tra persone comuni.

Nel 2003, alcuni psicologi e psichiatri di livello internazionale hanno infatti formulato una teoria chiamata Self-Presentational Perspective, in cui si teorizza che “bugiardi” e “sinceri” abbiano molti comportamenti comuni, in quanto sia lo sforzo cognitivo che alcune emozioni sono ben presenti in entrambi i casi.

Anche l’eccessivo controllo del proprio atteggiamento e gli stati di stress possono produrre indicatori di menzogna: spesse volte i soggetti, oltre a muovere di meno le mani o a “giocare” nervosamente con un oggetto, secondo quelli che Ekman definì “Lapsus Gestuali”, potranno comportarsi addentrandosi in discorsi lunghi e complessi (ambiguità e prolissità) facendo errori di pronuncia, e parlando più lentamente cercando di eludere le domande (esitamento ellittico).

Secondo Marvin Zuckerman, compianto professore di psicologia dell’Università del Delaware, oltre ai normali fattori emozionali di una menzogna (senso di colpa, paura e appagamento della beffa), si può individuare un elemento rilevatore altrettanto importante e ben evidente: l’eccitazione.

Neppure un soggetto iper-controllato, sarà infatti in grado di controllare tutte le reazioni del proprio corpo, in quanto molti “segnali” utili appariranno sul volto.

Ma quali sono gli indicatori, verbali e non verbali, più comuni e maggiormente presenti in un bugiardo?

Quasi tutti gli esperti del settore concordano con il sostenere che gli elementi a cui porre maggiore attenzione siano i seguenti:

Velocità nel discorsoParole pronunciate in un certo periodo di tempo
PausaSilenzi durante i colloqui
SguardoContatto visivo con l’interlocutore
Movimento delle maniMovimenti senza muovere le braccia
SorrisiFrequenza di sorrisi
Movimento della testaCenni o scuotimenti di testa
Tono della voceIntonazioni di voce, aumento o abbassamento del tono
Espressioni vocaliUso di “non parole” (ah, um, er, uh, hmmm)

Tra questi, le differenze più evidenti, riscontrabili solo attraverso idonei strumenti, riguardano il tono di voce (più acuto nei bugiardi), e i movimenti di mani e capo (frequenza minore nei bugiardi). Per ciò che concerne invece lo sguardo, i sorrisi e le pause nel discorso, non si tratta di segnali accertanti una falsità, in quanto potenzialmente presenti in modo “anomalo” anche un soggetto sincero.

Questo perché occorre comunque sempre considerare che la situazione in cui un soggetto si trova, può provocare diverse emozioni, le quali non saranno intendibili solo come stati “menzogneri”.

Un’altra metodologia che cerca di individuare le falsità, venne formulata da Paul Ekman, il quale individuò le sei emozioni fondamentali, riconoscibili in qualsiasi cultura: a) disgusto, b) sorpresa, c) gioia, d) dolore, e) rabbia e f) paura. Proprio da queste partì lo psicologo statunitense per elaborare la celeberrima teoria riguardante le “micro-espressioni”, resa celebre altresì dalla serie televisiva Lie to Me. Uno dei sistemi maggiormente avanzati a riguardo prende il nome di Facial Action Coding System (F.A.C.S.), ed ogni movimento singolarmente rilevabile è stato indicato da Ekman e Friesen come “unità d’azione”, in base alla quale si attribuisce un punteggio riferito all’intensità della manifestazione.

https://www.donadelli.eu/studio-delle-microespressioni-facciali.html

Gli studi sulle “micro-espressioni” continuarono anche nel 2011. Uno dei risultati di questi approcci evidenziò che suddette espressioni potessero essere certamente ridotte ma non del tutto eliminate. Anche i partecipanti che dichiararono di aver provato a sopprimere le emozioni facciali, mostrarono infatti gli stessi segnali di quanti non avevano controllato la loro espressività. Tale metodo presenta però delle complessità derivanti dal fatto che le emozioni non hanno sempre specifici movimenti corporei.

Neppure l’utilizzo del c.d. Poligrafo, del Voice Stress Analyzer, delle interviste cognitive o della Statement Validity Assessment, basta a dare risultati attendibili, se inteso singolarmente.

Uno dei brocardi su cui si basano tali strumenti è che l’espletazione di informazioni false contengano al proprio interno non solo meno contenuti, meno dettagli, meno citazioni o informazioni, ma anche una piattezza di stati d’animo da parte di chi parla o un battito cardiaco alterato. Ma se da un lato è vero che i bugiardi possano rispondere alle domande con frasi più brevi e concise, in quanto una risposta lunga aumenterebbe di conseguenza la probabilità di fornire informazioni utili all’intervistatore, o di cadere in contraddizione, è necessario comunque essere consci che, data l’alta variabilità dei risultati ottenuti dagli esperimenti e considerato che le analisi siano state svolte solo su soggetti adulti, questi strumenti sono ancora oggi poco attendibili per la corretta individuazione di una menzogna, e di fatti poco utilizzati in sede di giudizio.

Dopo secoli di tentativi, non esiste dunque alcuno strumento o metodologia in grado di carpire efficacemente le dichiarazioni mendaci o genuine di un soggetto, e nessuna persona sarà mai in grado di scoprire delle bugie. Soltanto l’attenzione e la competenza dello specialista, unitamente alla somministrazione di test clinici e psicologici, possono permettere un’idonea valutazione del racconto di una vittima o di un reo.

Pasquale Castronuovo

Criminologo e sociologo forense

Lascia un commento