Si cercherebbe invano nella pubblicistica locale e tramite internet qualche notizia sia pure vaga su un grande arciprete della cattedrale dell’Annunziata di Tursi, sepolto dalla polvere accumulata dal tempo, come è capitato a tanti altri grandi tursitani del passato recente e lontano, nella storia contemporanea e moderna. Il testo che segue scaturisce da documenti inediti e inoppugnabili, che pubblichiamo con la genuina convinzione che noi siamo, in certo modo, anche tutto il nostro passato.
Don Gio: Andrea Brancalassi (Tursi, 29 gennaio 1669 – 23 settembre 1725, “nel libro dei morti”, ma in altra parte è scritto: visse anni 55 e morì nelli 27 dicembre come dal libro dei morti), “Dottore e Signore, Arciprete della chiesa Cattedrale, grande eroe della famiglia e carico di tutti gli onori”, è quello che più ha innalzato il rango della famiglia Brancalasso non soltanto in ambito ecclesiastico, con riconoscimenti e ricchezze. Nella Chiesa locale e diocesana si elevò nella gerarchia fino a raggiungere il massimo, dunque appena dopo il vescovo, anzi i tre vescovi del suo tempo, i quali gli riconobbero tutti qualità, bontà e valore indiscussi, riconfermandogli sempre fiducia e incarichi. Figlio del nobile avvocato Camillo Brancalasso e di Ippolita Bitonte, donna e madre morta con un alone di santità, Gio: Andrea fu battezzato da don Paolino Federicis, tenuto a battesimo “nel santo fonte dal signor” Matteo Panevino e Geronima Giordano (foglio 390 nel libro dei Battezzati). Come il fratello maggiore Ponponio, andò a scuola nella terra della Nocara, per essere educato dagli zii don Carlo e Francesco Bitonte; con evidenti progressi quotidiani, cresceva e maturava giudizio e prudenza. Ritornato a Tursi, intraprese gli studi logici e teologici nel convento di San Francesco dei Minori osservanti, assieme agli studi legali; quindi andò a Napoli dove restò alcuni anni, per studiare il diritto e altre scienze, prima di trasferirsi a Roma, per specializzarsi e avere riconosciuti dei privilegi; quindi il definitivo ritorno nella città natale, dove s’industriò con la Chiesa, aderendo alla milizia ecclesiastica e fu subito annoverato nel canonicato della Collegiata Insigne della Rabbatana e poi della Cattedrale (nella parte del documento, che riguarda l’arciprete, si indica sempre Chiesa Cattedrale, mai citata con il nome dell’Annunziata o dell’Annunciazione, nda)
Intraprese precocemente il suo percorso e lo proseguì sempre con il vescovo della diocesi di Anglona e Tursi. Quando era undicenne Gio: Andrea Brancalasso “fu iniziato nella prima tessitura nella terra della Episcopia alli 27 di Giugno 1680 dal Vescovo Don Matteo Cosentini, il suddiaconato nell’anno 1692… e il Diaconato nell’anno 1693”. Mons Matteo Cosentino, dei marchesi di Aieta di Cosenza, fu vescovo della diocesi di Anglona e Tursi, dal 3 ottobre 1667 alla sua morte, avvenuta l’8 aprile 1702; convocò due sinodi ed ampliò l’episcopio in Tursi; le sue ossa riposavano nella Cattedrale dell’Annunziata di Tursi, poi distrutte nell’incendio dell’8 e 10 novembre 1988. La vocazione al sacerdozio fu sacramentata dal Vescovo di Tricarico, mons. Francesco Antonio Leopardi, con la dispensa dell’età del 6 Maggio 1693 (la bolla si conservava nell’archivio di famiglia). Da Napoli andò a Roma, dove “si privilegiò (acquisì il titolo, nda) sotto il Pontificato di Innocenzo XII nell’anno 1695 come dal suo Privilegio, che si conserva”. Fece poi ritorno a Tursi e qui fu conclamato ed eletto Canonico dal Capitolo della chiesa collegiata, confermato dalla Santa Sede apostolica, con bolla del 15 gennaio 1698 del Pontificato di Innocenzo XII. Considerazione, titoli e onori, in ambito laico-civile e nella chiesa, crescevano sempre più con la sua persona, per “la buona stima, fama e dottrina”, tanto che dopo solo quattro mesi fu insignito del Canonicato della cattedrale dell’Annunziata, lasciando di fatto quello della Collegiata il 9 agosto 1699 (in pari data la bolla, dallo stesso Pontefice Innocenzo XII). In tale veste, don Gio: Andrea Brancalasso fu anche confessore di mons. Cosentini, dal 5 aprile 1699, negli ultimi tre anni di vita del vescovo.
La sua azione si affermò “con tutto zelo ed acclamazione presso la sua Cattedrale, dando sempre a tutti buon’esperienza delli suoi ottimi costumi e del suo buon talento”. Subito dopo la morte dell’arciprete don Antonello Picolla (10 settembre 1707) e a seguito di un precedente concorso partecipato da “tanti e tanti altri”, ottenne la vacante Arcipretura, “seconda dignità a cui è annessa la cura dell’anime, preferito per li meriti e della nascita e della dottrina, e dell’onori che lo adornavano”, (bolla dell’Arcipretura del 12 settembre 1709, conferita dall’Ill.mo Vescovo Don Domenico Sabbatini di felicissima, ed immortale memoria per l’eccessivi beneficij fatti alla Cattedrale e alla Città, ed in ogni altra parte, standovi perpetue le sue memorabili gesta”). E così l’arciprete Gio: Andrea Brancalasso, “con singolar fatigha continuava la sua cura e benemerito, e dal Capitolo, e da Filiari”, tanto che, il 15 novembre 1711, l’illustrissimo mons. Sabbatini lo patentò del Provicariato generale della città, incarico che esercitò pienamente in tutto il vescovado e che mantenne per nove anni circa, fino a quando il vescovo “passò”. Mons. Domenico Sabbatini o Sabatino/i, calabrese di Strongoli (attualmente in provincia di Crotone), restaurò la cattedrale (o le due cattedrali?), che arricchì di argenti preziosissimi e migliorò il seminario a proprie spese. Il vescovo restò nella vasta diocesi calabro-lucana di Anglona e Tursi, dal 20 novembre 1702 alla morte, il 19 settembre 1720.
La mirabile ascesa di don Gio: Andrea continuò ulteriormente, perché fu perpetuo Deputato del Seminario e Governatore del convento monacale delle nobili/nubili donzelle, occupandosi di tutte le incombenze rimarchevoli. L’alta stima fu confermata dal nuovo vescovo, mons. Ettore del Quarto o Quarti, patrizio milanese di Belgioioso, comune a sud-est di Pavia, il quale fu prelato degnissimo della diocesi di Anglona e Tursi (allora molto estesa anche in Calabria), dal 28 novembre 1721 al 17 novembre 1734, prima di essere traslato a Vescovo di Caserta; il monsignore tenne un Sinodo (l’ultimo fino al 1851?), fece costruire l’altare maggiore ed ingrandì la sagrestia della cattedrale dell’Annunziata, inoltre fu da Roma mandato come Legato Pontificio per restaurare la disciplina nell’antico monastero cistercense italiano di Santa Maria del Sagittario (edificato nel XII secolo), nel territorio del comune di Chiaromonte, in provincia di Potenza. Mons. Quarto ricolmò don Gio: Andrea di “quelli onori (che) poteva conferirgli il detto Ill.mo”; appena arrivato (nell’anno 1721) lo fece Convisitatore e poi Provicario Generale e, dunque, “tutte le limosine passavano per le sue mani”. Il vescovo trattava il benemerito arciprete come “più confidente amico, e consiglier del suo presulato”, per tali ragioni conferì al nipote suddiacono Filippo Brancalasso il canonicato “vacato del canonico Giuseppe Layni”. “Fu carico di tutti l’onori e preminenze della Gerarchia alta della città, così pure si portò con tutto interesse al Bene pubblico in occasione di qualche urgenza o benefizio nella Città in improntar il proprio assenso per sollievo dei poveri, ed altre maniere. Questo Gran Eroe della casa, a cui la famiglia rappresentante e tutti li successori li han tutta la obbligazione, nell’anno 1725 a 23 settembre sorpreso da febbre acuta e munito di tutti i sagramenti d’età cinquanta cinque in circa (in realtà erano 56 anni, nda) passò da questa all’altra vita”. Una settimana prima, il 16 settembre 1725, aveva fatto il suo ultimo testamento, stipulato dal notaio Pietro Nocito di Tursi. Tra l’altro, con la disposizione di “ducati trenta di Capitale lasciati dal predetto Arciprete Don Gio: Andrea Brancalasso alla Chiesa Cattedrale, come dal suo retroscritto testamento, per l’anniversario in ogni 23 di 7bre si devono dare dopo la morte del Canonico Don Filippo Brancalasso, e stà notato nel librone della Cattedrale”.
Per esprimere la grande riconoscenza e gratitudine al loro congiunto arciprete, tutti i familiari mettono in evidenza nel testo che “ora convien trapassare a quali obbligazioni si stia dovuta la famiglia rappresentante… in difetto della Persona del Don Pomponio”, suo fratello. Pur impegnato “nell’uffizij e governi, Don Gio: Andrea portava il peso della casa e della famiglia. non lasciando mai tempo da dar da giorno in giorno splendore alla casa, e decorarla con mobili, di latarla, e far dimora al pari, anzi maggiore dell’altre primarie”. Agli inizi del 1718, quando Pomponio stava a Putignano, dove poi morì, cominciò la costruzione di un’altra ala del palazzo, l’ultima quarta parte “a lato della sala”; i lavori durarono circa sei anni (più di uno per lo sterramento, “colla questo era quasi a terra pieno e se non avesse avuta quella prudenza, e quel maneggio al certo non avrebbe potuto buttar la tant’arena” e il resto per la costruzione vera e propria con la scalinata, “come appare dal libretto, che si conserva nell’archivio”), per una spesa complessiva di mille ducati “con la fattura del portone di basso, porte, gradiata, cornicione, biancheggiatura, ecc. e quanto si osservae bisogna darli quella lode, che li è dovuta che il detto quarto nuovo è quello che ha superato tutta la casa ed ha reso lo splendore alla casa medesima”. Con “sottigliezza, giudizio e prudenza ridusse Filippo Fortunato a venderli la Massaria di Capo, dove dalla famiglia rappresentante si è fatto il casino”, nonostante che altri pretendenti fossero “li maggiori di città, cioè li Piccolla, Panevino, Camerino ecc.”; l’acquisto fu effettuato nel 1727 e pagato dalla famiglia Brancalasso.
Dallo stesso Filippo Fortunato, comprò la “cantina di basso”, assai contesa da Don Nicolò Picolla che “teneva scrittura di compra dal Don Filippo in testa del Don Francesco Antonio Donnaperna”, anche perché l’arciprete ne ebbe prima il possesso e poi blocco il prosieguo della causa che voleva intentare il Don Nicolò Piccolla; Don Gio: Andrea prestava denaro ai signori del tempo, impegnando oggetti che puntualmente venivano restituiti: “per denaro impegnato hebbe l’argenti (e)li candelieri a baffi dalli Manzi, e dove vi sono le imprese (abitazioni); per ducati 22 per messe dal Matteo Fortunato e concorse molto al detto argento ed in ogni cangiatura non mancava d’impegnar amore dell’altri che sono stati restituiti”; mantenne agli studi e “dottorò e mantenne in Napoli e fé conferire il Canonicato al Suddiacono Don Filippo”, fece molti doni a Mons. Don Ettore Quarti, “fé tutte quelle dimostranze possibili ed immaginabili nei regali al Detto Illustrissimo con la spesa di ducati 150 ed alla Corte”; si prodigò, spendendo molto, per disboscare e spianare tutte le Manche e matine (località, nda) della Massaria di basso,“e le ridusse, come sono al poi in cuburo che la spesa fu notabilissima”; dal Canonico D. Gio. Tomaso Giordano comprò “un pezzo di terra del contentore nelle destre a fronte delle dette Manche e matine”, che lo stesso Tomaso aveva fatto sboscare, mentre la gran parte delle Matine di Panarace furono disboscate dalla famiglia Brancalasso; l’arciprete si occupò anche della compravendita del bestiame, “giunse la trova delle vacche pari del n° 130 e le pecore al num° 1200 con venderne continuamente e li bovi nel campo al n° di 35 in 70”. Comprò pure la casa “avanti il Portone di capo, sopra il casolare del Signor Panevino”; piantumò e rese adaquabile (irrigabile) il giardino (non è chiaro dove, nda), facendo costruire due muretti ai lati del fosso, “per introdurre l’acqua nella canale come ora si osserva e piantò tutti l’alberi, e mantenerli con giardinieri”; dotò Caterina “sua nipote e sorella alla famiglia, in Pisticci”, e fece i capitoli matrimoniali del Dottor Tomaso con la Signora Antonia Giordano; infine, fu “Tutore e Curatore della famiglia Brancalasso, con prudenza e con giudizio, di continuo più di Padre ha ridotto i pupilli, e nelle scienze e nelle ricchezze, è stato infatigabile, e di giorno, e di notte, nell’economia della casa non ha lasciato modo, ne cosa per vantaggiar, e la casa, e i suoi nipoti, e per dir la verità quanto si vede e si tiene in casa è stata opera del medesimo; qualche ornamento, suppellettili, ed accrescimento si son fatti dalla famiglia rappresentante”.
Don Gio: Anndrea era fratello “uxorisque congiunto” di Don Pomponio Brancalassi e zio degli storici della famiglia Brancalasso. Proprio dal matrimonio dell’8 gennaio 1693, tra Pomponio Brancalasso e Geronima Manzi (? – 27 luglio 1738, morta a 66 anni), figlia di Francesco Manzi e Fulvia Magno, scaturisce l’albero genealogico, che annovera pure gli attuali ultimi discendenti dei Brancalasso tursitani e di Ancona; ma da tale unione nasce anche la fonte della narrazione interna della storia familiare, alla quale ho fatto ampiamente riferimento. Dai nove figli della coppia, infatti, ovvero Teresa, Agnese, Tommaso, Camillo, Teresa, Filippo, Carlo, Francesco, Niccolò, quattro si dedicarono alla stesura di untesto che contiene notizie fondamentali e imprescindibili della famiglia. I fratelli poi diventati dottori, Don Tommaso e i canonici Don Filippo (di fatto unico esecutore del testamento dello zio don Gio: Andrea), Don Carlo e don Niccolò, saranno gli autori del dettagliato manoscritto dal titolo emblematico Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744 (da loro stessi in seguito aggiornato al 1797). Il mirabile lavoro pluriennale di interpretazione e trascrizione del documento è stato svolto dall’esperta studiosa Ambra Piccirillo, che detiene il documento con il coniuge Ciriaco Sciarrillo Brancalassi, ai quali va la generalizzata gratitudine.
Salvatore Verde ©
Testamento di don Gio: Andrea Brancalassi, arciprete della Cattedrale di Tursi
Acquisito a Tursi il 16 settembre 1725, quando l’arciprete Don Gio: Andrea Brasncalassi era già sofferente ma ancora lucido nel letto della sua casa, il testo integrale del testamento che segue è stato trascritto da Ambra Piccirillo Brancalassi, dalla copia originale, conservata nell’archivio di famiglia:
<< Eodem die decimo sexto mensis 7bris quarti Inditionis millesimo septemgentesimo vigesimo quinto in civitate Tursii: a preghiere fatteci per parte del Don Sig. Gio: Andrea Brancalassi Arciprete personalmente ci siamo conferiti in una sua casa palaziata sita in strada della piazza e proprio nella camera dove era il medesimo l’abbiamo rattrovato giacente in letto, ed ave asserito in presenza nostra del seguente modo e cioè: Io Don Gio: Andrea Brancalassi Arciprete della chiesa Cattedrale di questa città di Tursi, quantunque infermo di corpo, sano la Dio mercé, nonché di mente ed intelletto, considerando lo stato dell’umana natura esser fragile, e caduco e che cosa niuna più certa ci sia della morte, ed incerta dell’ora sua, poiché niuno che fosse ne fu franco, ho disposto perciò fare il mio ultimo nuncupativo testamento, il quale voglio che vaglia per ragion di testamento nuncupativo, e se per tal ragion non valesse, voglio, che vaglia per ragion di codicillo donazione causa mortis, e per ogni altra miglior via cassando con ciò, irritando, ed annullando ogni, e qualunque testamento fin’ adesso fatto idem ad pias causas, et signanter quello fatto l’anno addietro, e per mano del notaio Lionardo Antonio Mellis di Tursi, ma voglio che chiunque mi succeda tanto in vigore del presente testamento quanto ab intestato osservi il presente testamento, dimodochè da questo non possa dedursi cos’ alcuna per ragion di falcidia, trebballanica ,ed alcun sussidio delli beni anche dovuto per ragion di natura.
Primieramente come fedel Cristiano nato in grembo della Santa Madre Chiesa Cattolica raccomando l’anima mia all’Onnipotente Iddio, Ss.ma Trinità, e Giesù Christo suo figliolo, Maria sempre vergine, San Gio: Sant’Andrea Apostoli dei quali indegnamente il nome porto, ed a tutti li santi, e Sante della militia Celeste, che purgata sarà dai miei grandi peccati nel Purgatorio vogliono preghare Iddio Benedetto, che per la sua infinita misericordia si degni collocarla nella Santa Gloria del Paradiso per dove è stata creata. Amen. Voglio primieramente: che il mio corpo fatto cadavere sia seppellito nelle fossa della mia famiglia nella Chiesa cattedrale: con quelle pompe, ed onori del funerale, che convengo allo mio stato e condizione.
Istituisco, ordino, e fò Io predetto Arciprete Don Gio: Andrea testatore a me miei Eredi, universali, e particolari in tutti li miei beni, mobili, stabili, oro, argento, raccoglienze, e nomi di debitori ed in ogni e qualunque cosa si novera nella detta mia Eredità Popa Bitonte, mia amatissima madre, il Don Tomaso, Don Canonico Filippo, Canonici Don Carlo e Francesco e Nicolò Brancalassi miei dilettissimi nepoti nati in costanza di matrimonio tra la Signora Geronima Manzi ed il Don Pomponio Brancalassi, mio fratto germano pro quali parte, et portione tanto in usufrutto quanto in proprietà, e fedecommesso di non poter vendere né alienare o altrimenti distrarre di bene, ma voglio che si conservino in Famiglia di Brancalasso del medesimo Don Pomponio mio fratto, e colla successione ad invicem di essi fratti, morendo alcuno di loro senza figli degni e naturali ex corpore nella presente successione primieramente: chiamo il Don Tomaso suoi figli, e descendenti usque ad infinitum.
Item voglio, che in tutti li miei beni si troveranno in detta mia eredità prima d’ogni altro vi habbia l’Ippoteca speciale la Signora Antonia Giordano futura moglie del Don Tomaso mio nepote: in quella conformità mi obbligai nelli Capitoli matrimoniali, atteso così è la mia volontà. – Item, jure legati pro una via al Dottore canonico Don Filippo mio nipote col peso di celebrare tre messe in ogn’ anno nell’altare di San Gregorio eretto nella Chiesa Cattedrale, e doppo la messa del Don canonico Filippo mio nipote, che sia doppo lunghi e felici anni si debbano dare in compra di annue entrate col peso di celebrare una messa cantata in detta Cappella nel mio anniversario del Capitolo, e Clero di detta Chiesa Cattedrale: così è la mia volontà. – Item, jure legati pro una via tom. cento di grano di celebrarsene messe dal detto Capitolo, e Clero sacerdoti partecipanti e non partecipanti di detta Chiesa Cattedrale,a ragion di un carlino l’una per l’anima di me predetta testatora, atteso così è la mia volontà.
Item voglio, che ante partem et portionem si debba dare la spesa del Dottorato necessito ed altro alli Dottori Canonici Carlo Francesco e Nicolò, miei nipoti atteso ecc. – Item, chi prima di detti Canonici Carlo Francesco e Nicolò si farà sacerdote possa godere dell’abitazione del quarto nuovo ultimamente fatto, quia sic …. – Item, voglio che di tutto quanto mi va dovendo D. Luca Pittoso, li miei eredi non possano dommandare più della metà, atteso l’altra s’intenda lasciata a detto D. Luca per mia gratitudine: è così è mia volontà. – Item jure legati pro una via tre vacche, cioè due a Caterina, mia nipote, figlia di Don Pomponio, e l’altra ad Elionora altra mia nipote figlia del Don Francesco Antonio: mio fratto consanguineo atteso è mia volontà. – Item jure legati lascio, e lego a detta Caterina mia nipote un vestito di sajetta di Milano col suo giuppone e sei palmi di drappo ultimamente venuto da Napoli atteso così è mia volontà. – Item jure legati alla signora Geronima Manzi mia cognata carlini quindici il mese da darseli da detti miei Eredi sua vita durante tanti, e non altrimenti. – Item voglio, che premorendo detti miei Eredi, come sopra chiamati, ad esso Don Tomaso mio nipote senza figli degni e naturali, mascoli, e femine ex proprio corpore provenienti in quello, che vi sarà in detta mia eredità o che vi resterà debbiano succedere dette Caterina ed Elionora legatarie loro figli e descendenti.
Item jure legati pro una via tre vacche, cioè due a Caterina, mia nipote, figlia di Don Pomponio, e l’altra ad Elionora altra mia nipote figlia del Don Francesco Antonio: mio fratto consanguineo atteso è mia volontà. – Item jure legati lascio, e lego a detta Caterina mia nipote un vestito di sajetta di Milano col suo giuppone e sei palmi di drappo ultimamente venuto da Napoli atteso così è mia volontà. – Item jure legati alla signora Geronima Manzi mia cognata carlini quindici il mese da darseli da detti miei Eredi sua vita durante tanti, e non altrimenti. – Item voglio, che premorendo detti miei Eredi, come sopra chiamati, ad esso Don Tomaso mio nipote senza figli degni e naturali, mascoli, e femine ex proprio corpore provenienti in quello, che vi sarà in detta mia eredità o che vi resterà debbiano succedere dette Caterina ed Elionora legatarie loro figli e descendenti. – Item voglio, che tutti li miei eredi debbiano stare tra loro communi, ed indivisi, e volendo ciascheduno di essi vivere separato debba avere ducati duecento meno della sua portione atteso. – E per ultimo lascio esegutore del presente testamento li Dottori Don Tomaso, e Canonico Filippo miei nipoti, che possano aggiungere, levare, e moderare il presente testamento secondo la loro coscienza. – Delle quali cose come sopra testate, e disposte esso Dottor Don Gio: Andrea Arciprete, ci ha richiesto, che ne dovessimo fare publico atto ci ha richiesto, nos audivimus, adscrivimus signa nostra.
Sedici anni dopo, esattamente il 6 dicembre 1741, il canonico don Filippo Brancalassi, esecutore testamentario, decide legittimamente alcuni cambiamenti, rispetto alle volontà dichiarate dallo zio arciprete al notaio Pietro Nocito: <<Io Dottor Canonico Don Filippo Brancalassi in vigore della facoltà, ed autorità concessami dal Don Gio: Andrea Brancalasso testatore di poter aggiungere, levare, e moderare qualunque cosa scritta nel predetto testamento, ora per più motivi che degnamente muovono la mia coscienza, levo, casso, e tolgo, quella successione che potrebbe aspettare alla Signora Elionora Brancalassi, suoi figli, e descendenti in difetto dei figli maschi, e femine del Don Tomaso Brancalasso mio fratto, se pure come ho detto li potesse spettare, mentre per la famiglia rappresentente vi son’ altre e maggiori ragioni per non aver avuto luogho la detta disposizione, e se ne possa avere in futuro, ma ora così è la mia volontà, che citra pregiudicio d’altre ragioni, che spettano, levo, casso e tolgo la detta successione, o sostituzione alla detta Signora Elionora, suoi figli e descendenti, usque ad infinita; oggi dato in Tursi li sei di dicembre 1741 dico mille settecento quarantuno. Io Don Canonico Filippo Brancalasso dichiaro come sopra. Ducati trenta di Capitale lasciati dal predetto Arciprete Don Gio: Andrea Brancalasso alla Chiesa Cattedrale come dal suo retroscritto testamento per l’anniversario in ogni 23 di 7bre si devono dare dopo la morte del Canonico Don Filippo Brancalasso, e stà notato nel librone della Cattedrale. Ducati venti di Capitale lasciati e istromentati in vita dalla Signora Geronima Manzi alla Chiesa Madria della Terra di Montalbano sua Padria per l’annuo suo Anniversario in ogni 27 di luglio in perpetuo, e già con tutta puntualità si celebra nello stabilito giorno, e altresì sta notato a librone, ed a Tabella, e la messa cantata si celebra nella Cappella del Paradiso fondata da suo zio Ill.mo Don Antonio Manzi Vescovo di Nicotera.>> (s.v.)