Un omicidio origina un matrimonio e una storia coniugale importante tra due nobili casate. Non è un romanzo e neppure un film, ma farebbe parte della storia di Tursi, quella dei Brancalasso e dei Picolla. Accadde prima del mese di giugno del 1605, forse. Insomma, il lieto fine, dopo la tragedia, fu foriero di novità positive nella discendenza delle generazioni. Ma con una avvertenza significativa: ti tale evento funesto esiste almeno un’altra versione ufficiale, con gli stessi protagonisti dell’uccisione, ma senza rimandi alla successiva unione matrimoniale. Così è scritto nel manoscritto originale di 170 pagine, dall’interno della famiglia, in Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744, di proprietà dei discendenti dei nobili e potenti Brancalasso, i coniugi marchigiani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, lei autrice della lodevole trascrizione, durata anni. Ci racconta un’altra storia, invece, il contenuto di un documento del 1616, conservato nell’Archivio diocesano di Acerenza, Appelli. Tursi-Anglona (1609-1619), riportato da Nicola Montesano nel volume collettivo Tursi La Rabatana (2004).
Il racconto di come si pervenne al matrimonio tra Don Giovanni Domenico Brancalasso e la signora Delica Picolla, ci dice che scaturì da una forte inimicizia (nacque da una gran distinzione, per liti di Università, doppo, fra varii odii, e rancori fra essi loro contratti) tra Don Giovanni Francesco Brancalasso e Baldassarre Picolla. Un contrasto divampò per questioni legate al conteso possesso di beni comunali per il pascolo degli ovini. Baldassarre sfidò Giovanni Francesco nella piazza della Città di Tursi (si ha motivo di credere che essa sia l’attuale Piazza del Plebiscito), dicendogli chiaramente che avrebbe continuato a pascolare le sue pecore, benché fosse stato diffidato dal farlo, non soltanto nel terreno oggetto della disputa ma pure vicino alla masseria (nel poggio controverso, ma anche, nelle teste delle finestre). Ascoltate quelle parole provocatorie e intollerabili, oltre che gravemente offensive, tanto più per l’onore di fronte ad altre persone, Don Giovanni Francesco ammazzò Baldassarre (probabilmente lo infilzò a morte) in una macelleria della famiglia Santissimo e poi trascinò il corpo morto dalla piazza all’abitazione del Picolla, poco distante. I familiari della vittima pensarono subito alla vendetta (per il quale omicidio, ne insorse una fiera inimicizia, tra la casa Picolla e Brancalasso).
Don Gio: Francesco Brancalasso trovò immediatamente rifugiò nel convento di San Sebastiano (nella parte bassa dell’attuale rione Petto), dove un suo zio era priore. Seguirono gli appostamenti dei Picolla per ucciderlo e una sera decisero di agire. Erano nascosti nelle case adiacenti, videro il Brancalasso e uno dei Picolla sparò con l’archibugio, ma colpì in pieno la statua di Sant’Antonio, che era posizionata in una nicchia esterna del muro, ben in vista dalla strada (in una sera, uno di detti Picolla nascosto in quei casaleni e guardando il Brancalasso per ammazzarlo tirò un’archibusciata, e colpì nella statua di Sant’Antonio, che stava nel nicchio di un muro di fuori, e patente alla strada). Per quel colpo devastante, la vicenda assunse un altro risvolto causato dalla versione univoca che ne diedero subito dopo il Priore e il Brancalasso. I due, infatti, e fecero ricorso e denunciarono l’accaduto alla Santa Congregazione e ad altri Tribunali, mettendo in cattiva luce il Picolla autore, a loro dire, dell’intenzionale sparo oltraggioso contro il Santo (per qual colpo si unì il Priore e di Brancalasso ne fecero ricorso dalla Santa Congregazione, ed altri Tribunali e fecero apparire gravissima l’ingiuria fatta al Santo, dal qual inferno ne appariva reo il Picolla contro il Brancalasso).
A quel punto, per limitare danni e conseguenze (per evitare le ulteriori inimicizie), si mosse Don Giovanni Domenico Brancalasso (huomo d’arme della compagnia di Caserta, figlio di Gio: Brancalasso e di Lionarda di Leo) che si propose per un matrimonio con Delica Picolla, dunque per una definitiva pace onorevole, per sugellare antichi e solidi rapporti e per ristabilire il duraturo equilibrio di amorevole e distinta parentela. E questo avvenne (con la dote di ducati 800, 500 in contanti, e 300 d’appanamenti) grazie alla mediazione di Don Andrea Picolla, padre del Baldassarre ucciso e di Delica Picolla (intermiedianti le buone insinuazioni del Don Andrea Picolla a prendere per isposa la riferita Signora Delica Picolla e che è quanto per fidele e giusta relazione degli antenati senza menioma alterazione e così per la Dio grazia ora si osserva la parentela con tutto amore e distinzione fra le dette famiglie Picolla e Brancalasso). A seguito di tali accadimenti, il convento fu posto sotto controllo nella sua limitata attività (qual Convento fu represso ed è applicato a questo seminario). Dal matrimonio tra Gio: Domenico Brancalasso e Delica Picolla (maritata con carta dotale stipulata a 13 giugno 1605, e fatta a 20 maggio 1606), nacquero quattro figli, due maschi e due femmine: Don Camillo e Nonno, Grazia e Vittoria.
Il dottore Don Andrea Picolla, che aveva 47 anni nel 1580 ed era figlio di Baldassarre, ebbe cinque figli: Don Francesco Antonio, Don Scipione, Delica, Grazia e Baldassare. Don Andrea era sposato con Grazia Donnaperna (figlia di Bernardino Donnaperna, sorella di Don Gio: Antonio Asprella e vedova relitta di Don Francesco Antonio Picolla). La figlia Grazia fu moglie del Dottor Signor Gio: Lorenzo Panevino, per la quale si è contratta la parentela fra li Picolla, Panevino, e Brancalasso.
Sulla vicenda omicidiaria e matrimoniale, nulla ci ha detto il grande Antonio Nigro (Tursi, 1764 – 19/05/1854), valoroso medico e archeologo, primo storico locale, nella sua sempre valorosa e ancora imprescindibile opera Memoria Topografica Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia Di Eraclea Oggi Anglona (stampato a Napoli, nel 1851, dalla Tipografia di Raffaele Miranda in Largo delle Vigne, 60, come ci ricorda Battista D’Alessandro, editore della IIa Edizione per ArchiviA di Rotondella, MT, nel 2009). Invano, pure, si cercherebbe qualcosa nelle tre edizioni dell’ottima Storia di Tursi di Rocco Bruno (Lino-Tipo Policarpo, Gonosa, TA, 1977; Romeo Porfidio Editore, Moliterno, PZ, 1989; edizione aggiornata a cura del figlio Gaetano Bruno, con Gianluca Cappucci, Waltergrafkart, Moliterno 2016).
La notizia dell’omicidio, però, come è stato accennato, è nel maxi volume Tursi La Rabatana, a cura del grande Cosimo Damiano Fonseca (Ministero per i Beni e le Attività culturali – Fondazione Sassi di Matera; Cooperativa Grafica Italiana- Bari, per Altrimedia Edizioni, Matera, 2004). Pur con le ombre totali sulle grotte ed alcune inevitabili incertezze, il libro contiene saggi di indubbia levatura e merita ricordare tutti gli studiosi: Carmela Biscaglia, Gemma Colesanti, Maurizio Delli Santi, Luida Derosa, Maria Lucia Gaudiano, Edoardo Geraldi, Fabrizio Terenzio Gizzi, Maurizio Lazzari, Bruna Lionetti, Cosimo Lionetti, Nicola Masini, Nicola Montesano, Maria Bruna Palomba, Antonella Pellettieri, Sabina Piscopo, Maria Rosaria Potenza, Pina Radicchi, Vincenzo Sgura. Il coordinamento della ricerca e la cura redazionale erano affidate a Rosalba Demetrio. Nel libro di 382 pagine i Brancalasso sono appena citati, di fatto riconoscendo un ruolo sostanzialmente marginale alla famiglia più potente in loco, la quale era all’epoca in stretto rapporto fiduciario con i Doria, duchi di Tursi, e aveva sconfinati possedimenti. Una stranezza, come il documento ufficiale al quale fa riferimento il Montesano, per chiarire l’uccisione di Baldassarre Picolla. Certo, un documento va talvolta decifrato, contestualizzato, interpretato e si ragiona con le certezze dei tempi. Ma le differenze appaiono e sono abissali e inconciliabili, tanto da poter affermare che sicuramente uno dei due documenti non dica (in tutto o in parte) la verità, intenzionalmente o per mero errore si vedrà. Capiremo quale dei due, se possibile, prossimamente, perché dell’omicidio si riporta una versione completamente diversa. Un giallo storico in piena regola.
Salvatore Verde