Archiviata la terza edizione di Cortosplash, il festival internazionale dei cortometraggi, traslocato da Marina di Rotondella, quest’anno al lido Onda Libera di Scanzano Jonico. Giuseppe Tumino, documentarista siciliano, innamorato della Basilicata e anima della manifestazione, può essere soddisfatto del successo registrato, degli oltre novecento corti arrivati e del buon livello dei film proiettati nella selezione finale (dal 22 al 24 luglio), oltre che della qualità del film vincitore “Le plombier” (14,07 min) di Méryl Fortunat-Rossi e Xavier Seron (Francia), ma a noi è piaciuto tantissimo “Angustia” (20 min) di Frederico Machado (Brasile).
Resta nella comune memoria l’esperienza della giuria presieduta dal regista Jon Jost, 73 anni, di Chicago (Illinois), tra i maestri assoluti del cinema indipendente americano, come riconosciuto dalla critica mondiale. Lo abbiamo incontrato con la moglie Marcella Di Palo (anche lei in giuria con Andrea Recussi e Leandro D. Verde). La regista di Matera e co-autrice del notevole “Mal d’Agri” (2014), nella circostanza è stata assai più che interprete.
Personaggio atipico e visionario, straordinario nell’accezione più vera, Jon Jost è cittadino del mondo, di raro spessore etico e di indubbio valore come cineasta anche pluripremiato, ma è pure talentuoso pittore e fotografo, oltre che docente universitario (in pensione dal 2011). Autore di corti (oltre 35, dal 1963) e lungometraggi (40 dal 1973), ricordiamo almeno i più noti “Angel city” (1976), “Chameleon” (1978), “The bed you sleep in” (1993), “Last chants for a slow dance” (1977) e il suo capolavoro “All the Vermeers in New York” (1990), con importanti proiezioni e studi e riconoscimenti. Molti suoi lavori sono stati realizzati in video digitale, già dal 1996. Creativo e autodidatta, sperimentale e innovatore, radicale in politica come nell’arte, ama esprimersi con iperbole, paradossi e ironia, che vanno a segno nel chiariree una personalità complessa, fuori dagli schemi, un’artista più unico che raro.
Come vive l’avanzare del tempo? E il rapporto con la morte?
Quando il fisico sta bene, non mi pongo il problema. Poi, del dopo non mi importa proprio nulla.
Sulla globalizzazione?
Tra un cinquantennio il pianeta sarà un inferno, per i problemi della fame e dell’inquinamento, della crescita demografica e delle inarrestabili migrazioni.
Il cinema aiuta a migliorare il mondo?
No, è una illusione giovanile, poi ti accorgi che non è così.
Dall’attualità, tra Donald Trump e Hillary Clinton?
Avrei votato Sanders, ma vincerà la Clinton. Trump, se eletto, è a forte rischio attentato. Gli Usa sono una nazione dalle forti disuguaglianze.
Le scuole di cinema sono realmente utili?
Certo, a promuovere giovani… per la televisione, non ad esprimere la propria creatività.
E il digitale è stato rivoluzionario nella democratizzazione del fare cinema?
Si, purtroppo, c’è tanta gente che non ha nulla da dire o da dare.
Il futuro del cinema?
È già morto, sconfitto dal dio denaro, dalla prostituzione per il successo e dalla totalità del ricorso agli effetti.
Totalmente?
Le potenzialità del cinema sono sconfinate, ma se ne concretizzano assai poche.
E quello sperimentale?
Non vedo sperimentatori veri, si limitano a rifare cose del passato e sono viziati dalla spettacolarizzazione. Rido quando mi dicono che si insegna nelle scuole.
In che direzione marcia la produzione attuale?
Dopo gli anni giovanili, non vedo più di cinque film all’anno al cinema.
Per svariati motivi, a quali dei suoi tanti film è più legato?
Io faccio film per me. Non saprei, sono tutti come figli, non ne disconosco nessuno.
Del cinema in Italia chi apprezza?
“La terra trema” di Luchino Visconti, Ermanno Olmi, il Michelangelo Antonioni in bianco e nero, il neorealismo, ma non tutto.
E più in generale?
Il mio amico Peter Hutton, regista sperimentale, Abbas Kiarostami, entrambi da poco deceduti.
Salvatore Verde