Qual’è la più antica fotografia panoramica di Tursi? A tale domanda provo a rispondere con ragionevole certezza, analizzandone una in particolare, tra le foto di pubblico dominio nella rete globale[1]. Tale immagine sembra avere alcune caratteristiche peculiari in grado di raccontarci degli aspetti della vita sociale tursitana che contribuiscono a collocarla in un tempo abbastanza preciso.
Intanto, conviene tenere a mente che dalla seconda metà del 1800 agli anni Cinquanta/Sessanta del Novecento, in pratica fino a prima dell’utilizzo regolare del colore, sono appena una trentina le fotografie originali notoriamente pubbliche e circolanti, purtroppo di autori ignoti, includendo perfino le cartoline fotografiche su commissione (solo raramente sono identificabili agenzia, autore e committente). Tali immagini sembrano aumentare di numero, anche se non di molto, con le successive riproduzioni delle stesse, inevitabili soprattutto grazie alla tecnologia digitale, tramite il ritaglio e il conseguente ridimensionamento delle inquadrature originarie, magari con il viraggio mono cromatico e con altre alterazioni più o meno (in)volontarie, magari per un utilizzo personale poi trasformatosi in apocrifa autorialità, così contribuendo molto alla confusione. Tuttavia, e lo ribadisco ancora una volta, rigetto l’idea che negli “archivi” privati non esistano altre immagini fotografiche, a oggi non ancora nella disponibilità più generale. Vedremo in futuro, intanto si ragiona con le verità dei nostri giorni.
L’immagine individuata ai fini del nostro obiettivo, chiaramente in bianco e nero e di autore sconosciuto, è stata riproposta di recente dal Maestro Luigi Caldararo (Tursi, 1942), nel suo “Calendario 2022 Paesaggi e folklore”, esattamente a corredo del mese di “Ottobre”, con la didascalia “XIX Secolo – Tursi. Il luogo delle origini”. Non che la bellissima foto fosse inedita, anzi, circolava almeno da mezzo secolo tra i cultori di storia locale e personalmente ricordo di averla vista la prima volta ai tempi del Liceo, grazie al fotografo Armando Anzillotti (1948-2021), dal quale acquistai poi una copia assai ingrandita e che conservo nell’abitazione, dal 1982. Ma nessuno finora si era avventurato sulla questione temporale, forse perché, a ogni tentativo di ingrandimento della copia in circolazione, la qualità si perdeva e i dettagli si sgranavano, essendo all’origine in un formato quasi cartolina, con tutta probabilità. L’attuale riproduzione della stampa, oggi migliorata, ha agevolato di parecchio l’approfondimento della datazione.
Diciamo subito che l’indicazione offerta al pubblico dall’ottimo calendario è giusta, per una serie di argomentate ragioni che chiarirò, tentando magari di precisarla ulteriormente. Lineare e abbastanza semplice è la lettura dell’immagine (quella del calendario non è immune da un intervento di ritaglio sia pure minimo). L’inquadratura primaria, qui allegata, è divisa in due: – a sinistra una parte dell’episcopio (un enorme palazzo di proprietà della famiglia Latronico acquistato dalla Curia tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800) e, appena in secondo piano, un circoscritto ritaglio del centro storico, del cosiddetto “anfiteatro urbano”; – a destra la facciata dell’ingresso della cattedrale dell’Annunziata (XV secolo), con il laterale e retrostante campanile. Come dire, dopo secoli di tentativi più o meno fedeli e accurati di trasposizioni artistiche, tramite disegni piuttosto approssimativi (tra la fine del 1600, gli inizi del 1700 e quello del 1851, del Nigro, il più attendibile) e tramite probabili affreschi e sculture (nella chiesa S. Maria Maggiore nella Rabatana), l’impressione della “realtà vera” si manifesta dopo secoli, con i suoi inequivocabili e inconsapevoli dettagli. E proprio su questi ultimi occorre soffermare l’attenzione.
Al lato del portone dell’entrata principale, la grande chiesa è sprovvista delle nicchie per le due statue e, soprattutto, agli angoli del muro-cornicione del primo livello superiore sono ancora posizionate le sculture (San Filippo Neri con Sant’Andrea Avellino, o con Sant’Anna?[2]) oggetto della imprecisabile venerazione popolare, mentre in alto, sotto il vertice triangolare della costruzione, sembra vi sia uno stemma, di certo non quello che tuttora ammiriamo, essendo quest’ultimo del 1934. La sede vescovile non ha ancora la duplice e avanzata protuberanza architettonica, conserva il giardino interno e mantiene l’ufficiale ingresso laterale[3], non coincidente con quello dei nostri giorni. Il centro abitato appare in condizioni degradate e non sviluppato totalmente, ma i grandi palazzi conservano ancora la loro austera imponenza e nobiltà, prima dello scadimento causato in certo modo dalle conseguenze applicative delle questioni legislative post-unitarie, con le divisive successioni ereditarie e con i nuovi assetti edificativi (con sbalzi, loggiati, balconi, scale anche esterne, contrafforti eccetera), inoltre, ovviamente, manca l’orologio pubblico che arriverà soltanto negli anni Cinquanta del Novecento. Non in ultimo, in alto a sinistra, nel palazzo Brancalasso sono in bella vista le colonne del suo laterale porticato, di fatto un belvedere semiaperto.
Sono tutti segni che ci inducono a una retrodatazione della rappresentazione immortalata dalla fotografia, ben prima della fine del secolo, fermo restando che esistono certamente foto di ritratti privati di nobili e altolocati tursitani che risalgono comprovatamene alla seconda metà del XIX secolo, ovvero già intorno al 1875, se non prima. Su tutto, una serie di elementi che più di altri sono da considerare, proprio nel rapporto con la fotografia, il nuovo mezzo di riproducibilità tecnica, per dirla con Walter Benjamin (1892-1940).
– Tutte le tre porte della grande chiesa, senza eccezione, sono chiuse, dunque, non si tratta di ricorrenza o celebrazione religiosa. E tuttavia una non piccola folla si è ammassata davanti al luogo di culto e vicina al vescovado, pertanto siamo certamente di fronte a un evento. Quale? Lo si capirà tra poco.
– L’assenza di autorità ecclesiastiche e militari in divisa, e comunque non ben visibili, esclude anche l’ufficialità di una manifestazione civile.
– L’orario presumibile potrebbe essere verso mezzogiorno o comunque nel primo pomeriggio, avvalorato dalla mancanza di ombre, mai accentuate neppure nel panorama urbano (tranne necessariamente la parte iniziale dell’attuale via Oliva, più bassa e sovrastata).
– Il vestiario degli astanti fa scartare la bella stagione estiva, anzi propendiamo per l’accadimento in una giornata fresca, insomma in un periodo stagionale tutt’altro che caldo, diremmo autunnale o primaverile.
Occorre, inoltre, contestualizzare l’immagine fotografica e procedere a una ricognizione storica, soprattutto degli interventi succedutisi nel tempo che hanno riguardato la grande chiesa tursitana, l’annessa area frontale (la palazzina di Giovanni Di Noia) e lo slargo antistante e laterale verso il canale Pescogrosso. A proposito del luogo di culto, anche per fugare eventuali dubbi, rimando al mio articolo “Vescovi, lavori, chiusure e crolli nella Cattedrale di Tursi, nei secoli”(Tursitani.it, 10 febbraio 2021)e a quello più recente “È di Pio XI lo stemma sulla cattedrale diocesana dell’Annunziata di Tursi” (Tursitani.it, 19 gennaio 2022).
Nel primo approfondimento, tra le altre cose, ribadisco che: “Nel corso dei secoli, la cattedrale diocesana dell’Annunziata (XV secolo) di Tursi e l’annessa sagrestia sono stati oggetto di interventi anche considerevoli, resi necessari da varie cause naturali e da altre fatalità che hanno provocato danni sovente rilevanti, considerando pure che talvolta si è evitata di poco la tragedia. Tutto ciò ha modificato sensibilmente l’iniziale assetto strutturale, già dalla seconda meta del XVII secolo, con alcuni successivi stravolgimenti… Lo storico locale Rocco Bruno, nella monografia dedicata alla Cattedrale, aggiunge che un altro restauro ci sarebbe stato nel 1901, testimoniato da “un’iscrizione su marmo nella facciata superiore principale della chiesa”, anche perché “negli atti del Sinodo del 1901 è detto: La nuova facciata della chiesa con le due statue di S. Filippo Neri e S. Andrea Avellino era ammiratissima dai forestieri’”. Allora era vescovo mons. Carmelo Puija (Filadelfia, VV, 26 ottobre 1852 – Reggio Calabria, 19 agosto 1937; a Tursi nel periodo 1997-1905). Il citato restauro avvenne certamente, ma non si può accettare che si tratti di sculture posizionate nelle nicchie della facciata, poiché allora inesistenti, mentre resta il dubbio legittimo se le statue fossero posizionate (pure nel 1901) sopra il cornicione del primo livello; probabilmente ci si riferiva a un passato allora non recente, come documenta un’altra immagine, ovvero la foto dello stesso anno 1901, scattata in occasione della “Incoronazione della Madonna di Anglona”, che ne conferma la totale infondatezza.
Nell’articolo più recente, ho chiarito del tutto la data di collocazione dello stemma papale: “In sintesi: la volta della chiesa crollò appena dopo la fine della messa cantata, alle ore 12,30 del 7 agosto 1927, e per mera casualità non causò una tragedia; i danni furono notevoli, tanto che la caduta sconquassò il pavimento fino a scoprire le tombe sottostanti; il vescovo della diocesi, mons. Ludovico Cattaneo, O.M.I. † (a Tursi dal 15 settembre 1923), informò subito il Santo Padre della disgrazia; l’anno dopo, il 6 luglio 1928, mons. Cattaneo fu trasferito ad Ascoli Piceno e la diocesi di Anglona e Tursi rimase senza vescovo, per due anni; nel periodo del fascismo, quindi per oltre sei anni e otto mesi, la cattedrale fu chiusa al culto; la ricostruzione trovò un notevole impulso dal 29 luglio 1930, con l’arrivo del nuovo vescovo, mons. Domenico Petroni (Cervicatri, CS, 5 ottobre 1881 – ?; a Tursi negli anni 1930-1935), il quale si recò più volte a Roma per chiedere il sostegno del Papa, cosa che ottenne; in segno di gratitudine, il Vescovo fece apporre il grande “sigillo” del Capo della Chiesa; la Cattedrale fu riconsacrata il 26 aprile 1934, nel 25° anniversario sacerdotale dello stesso Vescovo; l’anno successivo, il 1º aprile 1935, mons. Petroni fu traslato anch’egli, con la nomina a vescovo di Melfi-Rapolla. E di tutto questo, stranamente, si era persa la memoria. Ma grazie al maestro Elementare e poi Direttore didattico Vincenzo Cristiano, il più grande cronista del suo tempo, sia pure scrivendo rime in dialetto e in italiano, ne abbiamo una ricostruzione fedele pubblicata nel libro “Foglie secche e note gaie” (1951), nella sezione Musa Paesana, con l’ode “In Ricorrenza Della Riconsacrazione Della Cattedrale e del 25° anniversario sacerdotale di S.E. il Vescovo Don Petroni, 26 aprile 1934”.
A questo punto si possono fissare alcune certezze paesaggistico-panoramiche e cronologiche:
– 19 maggio1901, la Vergine Maria del vicino santuario venne incoronata “Regina di Anglona” da mons. Pujia, vescovo della diocesi di Anglona e Tursi, con larga partecipazione popolare, evento immortalato dalla foto nel letto del canale Pescogrosso, davanti alla ex chiesa di Sant’Anna;
– nello stesso decennio 1900-1910 si svolse ancora la fiera (annuale?) di Sant’Anna, ma è difficile datare con precisione le foto pure esistenti;
– la centenaria costruzione della famiglia Di Noia, frontale rispetto alla cattedrale, diventa dirimente sul piano temporale, ovvero, l’assenza della struttura abitativa significa con certezza che ogni immagine (che ne è priva) risale sicuramente a prima del 1920 e, a maggior ragione, a prima del 1901;
– 1936-37, arriva l’illuminazione pubblica nel paese;
– 1946, la Madonna di Anglona venne proclamata Patrona massima di Tursi e di tutta la Diocesi;
– 1951, la costruenda piazza fu subito intitolata a Maria Santissima di Anglona, ciò avvenne nella ricorrenza del 50° anno dall’incoronazione della Madonna di Anglona, quando il vescovo Pasquale Quaremba (Muro Lucano, PZ, 19 luglio 1905 – Muro Lucano, 16 dicembre 1986; a Tursi dal 1947 al 1956) rievocò solennemente l’avvenimento, con festeggiamenti e con il conseguente pellegrinaggio in tutti i paesi della diocesi. A futura memoria di tutto questo, l’attestazione della lapide sul muro della chiesa, era sindaco Francesco Guida (Tursi, 26 febbraio 1907 – Tursi, 15 marzo 1975), avvocato.
– nel 1954, il sindaco Mario De Santis (Tursi, 8 settembre 1922 – 13 marzo 1999), farmacista, fece realizzare l’orologio comunale sul tetto del municipio, già convento dell’Oratorio di san Filippo Neri, poi soppresso definitivamente nel 1867, ospitando in seguito anche la sede municipale, appunto.
Siamo adesso in grado di rispondere alle domande che la foto in questione ci ha posto, fornendo essa stessa le risposte attraverso la ricomposizione del mosaico dei segni. Infatti, bisogna aggiungere due annotazioni fondamentali, poiché ritengo non casuali sia la scelta dell’abbigliamento con la camicia chiara, segno che deve essere comunque un importante appuntamento per un avvenimento laico all’aperto, sia il fatto che proprio quasi tutte le persone siano rivolte verso il fotografo autore dello scatto, diremmo che “guardano in macchina”. Parafrasando l’immortale Giacomo Leopardi (1798-1837), potremmo riferirci a un “sabato del villaggio” o a un “giorno di festa”, ricordando il grandissimo Jacque Tati (1907-1982). Una foto artisticamente composta, partecipata da molte comparse con lo scenario del centro abitato alle spalle, il tutto a fare da cornice davanti e dietro alla grande chiesa, per assecondare il nuovo potere della fotografia, quando ancora era un evento di richiamo assoluto. Un omaggio alla prima fotografia pubblica, non a caso in esterno. Lo stupore per lo scatto, che si colloca con certezza assoluta tra il 1875 e il 1900, ha attirato le persone, trasformando una ordinaria giornata in una occasione unica, irripetibile e memorabile, dalla quale ancora oggi si avverte il fascino, l’emozione e la meraviglia.
Salvatore Verde © Riproduzione Riservata
[1] Ringrazio molto alcuni amici, tutti utilissimi ai fini di questa analisi: Donato Fusco, i coniugi Enza Di Noia e Michele Galante, Salvatore Spadafora e Peppino Ragazzo.
[2] Merita approfondire la questione, ma in altra circostanza, perché la stessa foto smentisce e contraddice il testo citato.
[3] Il portone d’ingresso era collocato nella strada per l’antico rione Katubba, che la tradizione vuole sia stato abitato dai Berberi. Pur con diverse etimologie, il termine deriverebbe da Katabba, dal greco Katabasis, discesa, o dall’arabo Qataba, adunata, o da entrambi.