LA TRADIZIONE E LA MEMORIA DI MARIO BRUNO (1930-2016)*

Cronaca
Mario Bruno nel suo laboratorio museale, alcuni anni addietro
Mario Bruno nel suo laboratorio museale, alcuni anni addietro

Mario Bruno, il carissimo amico della comunità tursitana, uno dei pochi rappresentanti più significativi per molteplici aspetti, è deceduto domenica 30 ottobre, nell’ospedale di Matera, dove era stato da poco ricoverato, per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Una improvvisa crisi respiratoria gli è stata fatale. Aveva 85 anni, essendo nato il 16 dicembre 1930. Siamo tutti importanti a questo mondo, ma solo alcuni sono  baciati dal destino e hanno la capacità di elevarsi a rappresentanti di una comunità. E Mario lo è ad alto livello. Tutti i morti causano dolore e sofferenza nei propri cari, perché alla morte non ci si abitua mai, anche se nel mondo muoiono circa 190.000 persone al giorno e a Tursi sono in media 45 all’anno (mentre i nati sono appena 25 mediamente). Il paese, dunque, sta invecchiando e noi abbiamo il dovere di riconoscere i meriti e di conservare la memoria, perché sia utile alle nuove generazioni. In tal senso Mario ha dato assai più di quanto gli abbiano restituito i tursitani. Egli è stato un piccolo grande miracolo, avendo dimostrato nei fatti come, partendo da umili origini, condizioni modeste e pochi mezzi, abbia saputo pervenire a nobili mete, destinate a restare, ben oltre la sua umana avventura.

Dal 10 marzo 2007 era vedovo dell’amatissima Rosa Assunta Consiglio (nata 15 agosto del 1940, originaria di Colobraro). I genitori di Mario erano Rosa Tucci (11.01.1900-18.3.1968), di Amendolara (Cosenza), e Gaetano Fioravante Bruno (03.02.1904-14.7.1971),  questi vedovo di Maria Fusco (1907-27), deceduta per il parto del figlio Antonio Bruno, che morì bambino (1927-30). Dopo Mario, sono nati:  un altro Antonio (1932-34), con la stessa sfortuna della morte precocissima, poi Elena (04.02.1935-12.8.1956), Rocco (1939-2009), due gemelli, Espedito e Vittorio, scomparsi infanti (10.8.1940-20.01.1941), e Grazia (1944).

“Mariucc’ Brun’ u’ calabrese” era padre di due figli: Gaetano e Giuseppe, ai quali rivolgo il nostro sentimento di affetto e vicinanza, assieme alla zia Grazia, sorella di Mario. Agli stimatisimi amici Gaetano e Giuseppe tocca il compito di gestire l’eredità del patrimonio culturale del padre, con apertura, disponibilità e generosità, socializzandone il sapere prodotto con accortezza e lungimiranza. So che sarà così. E li ringrazio molto anche per avermi chiamato a tenere questa orazione funebre. Lo considero un onore e mi sembra, in tal modo, di restituire  a Mario appena una goccia del tanto che lui dato a me e a chi lo ha conosciuto in tutti questi anni, sul piano umano, culturale e sociale.

Avevo incontrato Mario l’ultima volta, con il giovane prof. Gianluca Cappucci, verso il 20 di agosto, nella sua casa del rione santi Quaranta. Ci diede ancora dei suoi appunti di storia locale, perché ne studiassimo e approfondissimo il contenuto. Era totalmente lucido e intento a sistematizzare ricordi, elaborare convinzioni e a indicare alcune piste di ricerca da seguire. Ci siamo frequentati tutte le sere, per quasi un ventennio, dal 1997 fino al 2014, quando fu chiuso il club degli anziani, nel vicolo cieco dell’ex cinema parrocchiale.  E se ne dicono di cose nelle  ore di una serata, per settimane e mesi e anni e decenni.

Figura nota ed esperta di storia orale tursitana, di tradizioni e folclore locali, anche autore di liriche, l’autodidatta Mario Bruno è stato un punto di riferimento imprescindibile per studenti, laureandi e studiosi di antropologia e per i tanti tursitani in Italia e all’estero, desiderosi di notizie soprattutto storiche e genealogiche. Non c’è davvero persona che abbia voluto avvicinarsi alla realtà tursitana che non gli sia debitore di qualche cosa, grande o minima, scaturita da recenti o vecchi ricordi e testimonianze del passato, relativi alle feste, le usanze, le sagre, i proverbi, le massime, i detti, gli aforismi, i racconti, le poesie, i canti, le argomentazioni sulla toponomastica, sulla banda musicale (e Mario era anche un valente musicista-strumentista, un talento trasmeso al figlio Gaetano), sulla ricchezza, sul significato e sull’uso di parole dialettali (come aveva intuito perfino il grande Vate tursitano, Albino Pierro, che di tanto in tanto lo chiamava).

Fratello dell’indimenticato Rocco Bruno, il massimo cultore contemporaneo di storia tursitana, Mario era anch’egli dotato di una solida ed enciclopedica memoria davvero titanica, perciò utilissima in ogni caso per uno spunto, un avvio, una considerazione e un collegamento fattuale e di nomi, anche con tutti gli inevitabili limiti metodologici che attengono proprio al metodo della ricerca non professionistica. A tal riguardo sono stati sempre di grande impatto e coinvolgimento, pure stimolanti,  i siparietti tra i due fratelli sulle alte dispute culturali localistiche o le divergenze di vedute con l’amico Salvatore Giampietro. Confronti che mi mancano moltissimo, per la dialettica ricchezza e puntualità della cronaca che si narrava. Mario leggeva tantissimo e aveva una quasi sacra considerazione della scrittura. Sosteneva, non a torto, che “ha vissuto invano solo chi di sé non lascia traccia”.

Mario è stato tra i pochissimi ad aver elaborato una sua personale e comunque significativa interpretazione dei fatti storici tursitani, in particolare delle vicende di Anglona. Non c’è praticamente rilievo e quesito ai quali non sia stato in grado di dare un inquadramento, a volte certezze, in altri indizi, tuttavia da sviluppare, verificare e documentare. Si è occupato ed ha indagato molti fatti storici e di  cronaca paesana inedita, ma soprattutto analizzato le tradizioni popolari della nostra comunità e della  nuova e vecchia diocesi di Anglona, della Valle  del Sinni e  dell’Agri, dei fatti accaduti e tramandati nel corso dei due ultimi secoli, il XIX e XX. Emblematico, in tal senso, è l’agevole testo “Curr’ Curr’ Ala Cappèll’. Tradizioni popolari a Tursi e nell’antica Diocesi di Anglona” (edito da ArchiviA, Rotondella, 2001), ultima produzione, considerando a parte gli sparsi articoli pubblicati di tanto in tanto.

Intriso di una passione profonda e viscerale per l’amato paese,  ha ancorato il proprio percorso umano e di ricerca al recupero e alla valorizzazione della tradizione, forse con una spiccata sensibilità per i fatti religiosi, che prediligeva, avendo il dono della Fede e una totale devozione verso la Madonna di Anglona. Egli ha conosciuto e frequentato diversi vescovi della Diocesi. Con mons. Vincenzo Franco iniziò, infatti, un periodo fecondo, poiché spronato a farsi  promotore della costituzione del Gruppo Folcloristico “Anglona”, che si distinse per diversi anni in parecchie ed apprezzate esibizioni, comprese quella per la consacrazione di mons. Gerardo Pierro a Salerno e per l’ingresso episcopale a Tursi. Furono registrati allora, grazie anche all’aiuto del rettore del santuario don Nicola Romano,  i “Canti della Vergine Santa di Anglona” (Curra curra ala cappella, Venese Fedele), occupandosi del testo e, in alcuni brani, anche della musica, come “A zite, I Mascarete, Frunne da uive, Campagnole, I partaialle, I pircoche, I funtanelle, A lisciarie, Cumme t’a fatte ianche, Ninchi Ninchi”. Ha scritto e sceneggiato Il Matrimonio antico lucano ed ha composto liriche per l’arrivo nella diocesi di Tursi dei vescovi mons. Rocco Talucci e mons. Francescantonio Nolè.

Fin da bambino ha acquisito familiarità con i racconti popolari. Educato a questo, frequentavo la Società operaia, dove si riunivano non soltanto i proletari dell’epoca vicino a un braciere e narravano gli accadimenti anche scaldandosi, con veri e vari retroscena fuori dell’ufficialità”, mi ricordò. Tra quei saggi anziani imprimeva nella mente le loro discussioni, nelle gelide  serate d’inverno del periodo 1938-45, anni tristi, oscuri e bellici, quando il padre onorava la patria nel fronte africano. Ha conosciuto, da allora, alcuni tra i più grandi personaggi della storia tursitana, come Andrea Ferrara e Prospero Ferrara, i fratelli Guido e Manlio Capitolo, i fratelli PierroPeppino, Maurizio e Albino, il maestro e direttore didattico Vincenzo Cristiano, le maestre Livia Destefano e Marietta Ayr.

Nel 1943, alcune nozioni di lessico e sintassi grammaticale e di cultura generale gli  furono  impartite da don Nicola Fasolo, successivamente dall’arciprete della Cattedrale don Antonio Conte e da  don Salvatore Conte, quando era parroco di San Michele: “In quella occasione lo aiutai a rimettere in ordine e ad archiviare la biblioteca parrocchiale, consultando alcuni manoscritti provenienti da Anglona e atti dei ‘Monti frumentari’ del 1600”.

Fu anche collaboratore esterno di tanti vescovi della diocesi: di mons. Domenico Petroni, mons. Lorenzo Giacomo Inglese (che gli ha impartito  la prima comunione), l’arcivescovo di Taranto Federico Bernardo, amministratore apostolico che proclamò la Vergine d’ Anglona Patrona Massima della Diocesi, mons. Pasquale Quaremba (di questi fu amico e quasi assistente, aiutandolo a ripristinare la biblioteca vescovile); fu delegato dal vescovo Secondo Tagliabue all’Acai cristiana, con la funzione di assessore della Cassa Mutua Artigiana. Inoltre, ha ben conosciuto il vescovo Dino Tommasini e ne custodiva gelosamente il ricordo, con due suoi testi  inediti.

Dopo aver lavorato come collaboratore scolastico, per un biennio dal 1968, e poi come assistente amministrativo all’Itcgt “M. Capitolo” di Tursi,  Mario Bruno è stato dal 1996 un attivissimo pensionato che  trascorso le giornate nel suo “laboratorio”, nel citato vicoletto nei  pressi della Cattedrale, esercitando ancora la preziosa opera di valente calzolaio, iniziata sostanzialmente negli anni Cinquanta. L’alloggio-cantina-laboratorio è di quelli che non si dimenticano, essendo quasi un mini museo della civiltà contadina (contiene attrezzi per lavori nei campi, utensili casalinghi in legno, ferro battuto, ceramiche, vimini, lavorazioni amano e tanto altro) e degli antichi mestieri (manufatti per sarto, fabbro, falegname, stagnino, ecc.), tuttora ricolmo di svariatissimi oggetti, ormai migliaia, accumulati in decenni di costante, paziente e selezionata ricerca e acquisizione, da vero collezionista e antiquario dell’artigianato.

Avrebbe voluto completare un vocabolario di lingua antica (con vocaboli arcaici delle etnie che abitavano in loco, come i capannicoli agro-pastorali, del popolo degli Enotri, i greci, latini, arabi, francesi, spagnoli e borbonici, il vecchio napoletano), e ultimare una collezione di proverbi e aforismi inediti, come pure una ricerca storica con notizie e dati sui popoli indigeni, fino ai profughi di Anglona, rifugiatisi in Tursi, Colobraro, S. Arcangelo, Chiaromonte e Trecchina, oltre a scrivere una “Storia di Panevino e Acinapura del feudo di Anglona”. Progetti rimasti incompiuti, che lasciano trasparire la fecondità di una mente autodidatta ma brillante, con un carattere forte e dotato di certezze incrollabili. Se gli fosse stata data l’opportunità di studiare, non sarebbe stato difficile a nessuno pensarlo nell’età adulta come un antropologo culturale.

Negli anni Novanta, attratto dalla poesia, ha pubblicato anche diverse raccolte di liriche: Il cuore di una Mamma, edizioni Bmg, e  Affruntere a Madonne, L’Ellade, entrambe del 1994; Ricordo di un padre Bmg, 1995; La Vita, Bmg 1996. A volte, la voglia di omaggiare i suoi amati riferimenti poetici e culturali lo ha portato a rivelarsi pure nelle insistite citazioni, sovente fraintese, ma non ci può essere dubbio sul condensato di una sensibilità fuori dall’ordinario anche come autore di versi. Ha contribuito in modo fondamentale alla realizzazione del CD musicale del coro polifonico  Regina Anglonensis, come autore di testi e melodie, poi arrangiate dal maestro Francesco Muscolino. Apprezzabilee coerente l’omaggio delle amiche e degli amici del coro che hanno eseguito questa mattina due suoi brani, durante il funerale nella cattedrale dell’Annunziata, celebrante il parroco don Battista Di Santo. Inoltre, ha collaborato stabilmente con il bimestrale TURSITANI (2004-2008) e si prestò volentieri per una piccola parte nel mio lungometraggio “Modo armonico semplice – L’asilo di un Maestro” (2007).

Nell’anno in corso sono deceduti i compagni di una vita, il già ricordato Salvatore Giampietro, e Domenico Mazzei, Luigi Garofalo, Totonno Parciante, e prima ancora Maurizio Gallo, Giovanni Ragazzo, Peppino Manfredi, don Vincenzo Mazzei, Vincenzo D’Errico, e mi scuso sinceramente con gli altri frequentatori del club degli anziani, perché meriterebbero davvero di essere citati tutti. Con loro ho trascorso migliaia di serate dal 1997 al 2014 a parlare praticamente di qualsiasi argomento, dalla politica nazionale a quella locale, dalla storia alla normale quotidianità, ma poi si finiva con un riferimento alla morte, ma sempre con serenità e talvolta con richiami all’aneddotica che strappava sorrisi, quasi a esorcizzare un orizzonte ormai curvato e senza prospettive, essendo tutti o quasi “nell’anticamera dell’ultima stanza”, per dirla con il cardinale Carlo Maria Martini.

Nell’ascoltarlo con curiosità, Mario si è rivelato una  figura appassionata e di carattere, un “intellettuale della storia minore” che ci appartiene,  un personaggio unico e prezioso per la comunità, come una miniera, un tesoro da custodire nella nostra memoria con generosità. Mario Bruno è stato sicuramente un acuto e apprezzabile testimone del suo e del nostro tempo, e non solo di questo gli saremo tutti almeno un po’ eternamente riconoscenti. Quando una persona cara muore, e nel ciclo della vita e dell’età è assolutamente normale che accada, la nostra riflessione deve essere sempre duplice, anche come problematica: cosa egli ci lascia e cosa resta in noi. Penso che mancherà moltissimo, anche perché è insostituibile. Si è proprio vero, ogni vita racconta una storia. A noi il compito di decifrarne il senso pieno e maturo e di  raccoglierne l’eredità, con rinnovato amore per lui e per Tursi e con sconfinato senso di gratitudine.

Caro Mario, Tu sai che questo non è un addio e, mentre ti diciamo un sentitissimo grazie, grazie di tutto, con affetto e tenerezza ti indirizziamo un ultimo avvolgente applauso, che tu gradirai con la tua timida e bonaria ironia, che era in fondo il tuo modo per manifestare la gioia e l’amore per la vita, anche quella eterna. Ciao Mario.

Salvatore Verde

*Orazione funebre del 1° novembre 2016, dopo il funerale nella cattedrale.

Funerale di Mario Bruno (1)
Funerale di Mario Bruno (1)

Funerale di Mario Bruno (2)

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