“Perché scrivere un libro, quando la vita di una persona è già un romanzo?”. Quesito tutt’altro che irrilevante. Se lo poneva tra gli altri Marguerite Yourcenaur (pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour (Bruxelles, 8 giugno 1903 – Mount Desert, Maine, USA, 17 dicembre 1987), grandissima scrittrice e accademica di Francia.
E di vite romanzate anche a Tursi se ne troverebbero molte, se soltanto volessimo approfondire le vicende umane di tanti tursitani meritevoli, ma tuttora sconosciuti ai più, le storie dei quali appassionerebbero di certo ancora oggi. In tal senso, anche per i richiami alla stringente e tragica attualità del fenomeno dell’emigrazione, risulta davvero emblematica la storia di un emigrante atipico come quella dell’orafo Vincenzo Nicola Domenico D’Alessandro (Tursi, 23 marzo 1884-21 dicembre 1962), figlio di Filippo e di Carmela Tucci.
Appena diciottenne, nel 1902, affrontò il viaggio per le Americhe, sbarcò in Brasile e frequentò la scuola d’orafo a San Paolo, diventa bravissimo ai limiti del virtuosismo, salvo poi fare ritorno in patria, dove ritrovò l’amore, visse nel paese natio, si sposò a 41 anni e diventò padre di tre figli (uno dei quali muore bambino), rimase vedovo per quasi tre lustri e morì a 78 anni, per le complicanze di una bronchite.
In questa attività di artigianato prezioso, è il caso di dire, mise in luce il suo straordinario talento, facendosi apprezzare oltreoceano come riferimento assoluto nel caso di lavori particolari. La leggendaria cantante lirica di origini italiane Adelina Patti (Adela Juana María Patti, Madrid, 19 febbraio 1843 – Crayg-y-Nos, 27 settembre 1919), soprano del Teatro dell’Opera della metropoli brasiliana, lo volle quasi come gioielliere personale. Per lei, nata in Spagna e cresciuta negli Stati Uniti da famiglia italiana, poi bisnonna della famosa cantante e attrice Patti LuPone (Northport, New York, 21 aprile 1949), il giovane Vincenzo realizzò e restano famosi almeno i guanti d’oro tempestati di brillantini.
Ritornato in Italia dopo il primo conflitto mondiale, il 23 agosto 1925 sposò Rosa Reale (Resina/dal 1969 Ercolano, NA, 20 marzo 1904 – 23 agosto 1948), prima figlia del geometra Domenico Reale, che viveva a Lauria (PZ) con la famiglia (altre figlie erano Luigina, Celeste e Pasquale) . Dal matrimonio sono nati tre figli, Maria Carmela (Tursi, 30 ottobre 1927 – Potenza, 7 dicembre 1999), Maddalena (Tursi, 1930) e Filippo Domenico (Tursi, 7 aprile 1932 – 18 febbraio 1936), deceduto infante per i postumi di un mal di gola.
Di temperamento aperto, gioviale e ottimista, “Don Vincenzo” era un padre affettuoso e premuroso, stimato dai compaesani, amava cantare a voce alta le arie tratte dalle opere che conosceva, ed erano tante. Inoltre, coltivava il disegno in bianco e nero (con matite e/o carboncino), lasciandoci numerosi quadri, molti dei quali sono immaginifici e realistici ritratti, quasi tutti custoditi dal nipote Antonello De Santis, noto ingegnere e imprenditore turistico, tra gli estimatori assoluti del nonno artista. Ma su tutto risalta la geniale produzione di oggetti preziosi, rari e costosi, grandi e in miniatura, semplici e complessi, alcuni ancora oggi salvaguardati dagli eredi, che ringraziamo per la disponibilità.
L’attività di oreficeria e gioielleria “D’Alessandro”, situata da sempre nel centro storico, nella casa degli antenati in via Pietro Giannone, nel rione San Filippo, è proseguita poi grazie all’impegno e alle capacità della figlia Donna Lena, signora di straordinarie doti e rara sensibilità multiformi, fino al pensionamento di costei negli anni Duemila.
Con la scomparsa di Vincenzo D’Alessandro, in pieno boom economico, si è persa definitivamente la magnifica tradizione orafa tursitana (che comprende anche la famiglia di don Emilio Palazzo, trasferitasi a Policoro da mezzo secolo circa) e con essa tutto un mondo rurale, fatto anche di magia, sacrifici, passioni e sogni irripetibili, quando si capiva il valore dei “pezzi unici”, oggi trasmigrato nei prodotti d’élite e depotenziato negli oggetti di serie, che caratterizzano la società globalizzata di massa. Si diceva e ancora si ricorda: “ma scherzi, è oro di Donna Lena”.
Salvatore Verde
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