TURSI – Con la morte di Vincenzo Romano, 71 anni, valoroso medico e cardiologo, la città di Tursi perde un cittadino di grande umanità, una persona straordinaria, ma anche un intellettuale impegnato, sensibile e riservato. Si è spento la sera di martedì 31 ottobre, intorno alle ore 19, per un arresto cardiaco, nella casa in via Cristoforo Colombo n. 10, ereditata dal padre Domenico (Tursi, 4 ottobre 1915-23 giugno 1995, fu anch’egli medico noto). Ci ritornava abitualmente, adesso era qui da una decina di giorni. Viveva da alcuni anni a Policoro, con la famiglia, subito avvisata.
Inutili i pur tempestivi soccorsi e i tentativi di rianimarlo, effettuati dal personale del 118 e dal medico di guardia. Enzo, così per tutti, e i congiunti avevano già dovuto affrontare l’immane e innaturale perdita del trentaseienne figlio Domenico (San Giorgio a Cremano, NA, 22 giugno 1979 – Policoro, MT, 8 ottobre 2015), laureato in Fisica, causata da un infarto. Il dottor Romano (Tursi, 24 dicembre 1945, registrato in anagrafe il 07 gennaio 1946-31 ottobre 2017) mancherà ai tantissimi che hanno avuto modo di stimarlo e di vedere in lui un sicuro punto di riferimento nella professione e nella vita, per un consulto o un semplice consiglio.
Ufficiale sanitario del comune di Tursi, poi responsabile della Asl e del locale Distretto sanitario, era un uomo di bell’aspetto, saggio, mite e anche un po’ malinconico, quanto gioviale nel privato e appassionato di caccia. Di cultura raffinata, nel 1989 aveva pubblicato il libro “? Quale Certezza” (Rocco Fontana Editore, MT), un saggio filosofico anche di notevole introspezione, all’insegna della migliore tradizione dei medici intellettuali dell’Ottocento lucano. Nel mese di gennaio del 2011, fu colpito duramente da una emorragia che di fatto lo indusse al pensionamento, senza minarne però la lucidità, la curiosità verso il mondo e le capacità intellettuali, essendo fino all’ultimo sempre impegnato nella ricerca e negli studi, tra gli amati libri della sua vasta biblioteca.
L’eredità più profonda credo sia nell’attaccamento alle radici tursitane, con un amore sviscerato per il paese e, soprattutto, nella forza della fede nel tempo della maturità, unita al rifiuto di cedere alle lusinghe del potere (dagli anni Ottanta, almeno per tre decenni, è stato sempre corteggiato per una candidatura a sindaco, invano). Numerose le testimonianze di affetto e vicinanza alla moglie Celeste Lavìni, stimata docente in pensione, sposata il 23 settembre 1978 nella cattedrale di Sorrento, e alla figlia Rita (n. 1981), che lavora al Dipartimento di Ingegneria nell’Università La Sapienza di Roma, come ideale abbraccio della comunità tursitana e non solo (Tommaso, il fratello del “dottore”, vive con la sua famiglia in Puglia, praticamente da sempre).
Sul tavolino a fianco del televisore della sua abitazione, ho notato il libro “Parlate con il cuore” del cardinale Carlo Maria Martini. Credo che in futuro, anche a un’analisi più distanziata, di “Don Vincenzo” se ne dovrà parlare sempre con lo stesso moto dell’anima, con il cuore, il suo, che i compaesani avevano imparato ad amare e che non dimenticheranno.
Giovedì 2 novembre, alle ore 10, i funerali nella cattedrale diocesana dell’Annunziata, poi la tumulazione nel cimitero di Tursi, per sua esplicita volontà (dell’1 gennaio 2016) nella cappella di famiglia, “sopra la tomba di mio padre, con la testa rivolta all’altare e i piedi verso l’entrata”. Si conclude così la parabola umana di un grande tursitano.
Salvatore Verde