Presentata a Francavilla in Sinni l’Agenda e il programma dell’Anno Pastorale 2019-2020
L’aspetto educativo è quello più intimo di una persona, quello in cui si decide la sua esperienza di vita e l’orientamento del suo operare. Per questo la chiesa di Tursi-Lagonegro ha deciso di fare proprio questo percorso nell’anno pastorale 2019-2020, puntando sul tema “…per il bene integrale delle persone. La sfida educativa”, presentato dal vescovo, Monsignor Vincenzo Orofino nell’Assemblea diocesana tenutasi a Francavilla in Sinni lo scorso 1 settembre, nel corso della quale è stata presentata anche l’agenda pastorale. Nella sua relazione Mons. Orofino non ha nascosto le criticità che caratterizzano la nostra Diocesi, a partire dalla secolarizzazione che attanaglia la Chiesa italiana e non esclude le piccole comunità, dal relativismo morale e dalla riduzione dell’esperienza cristiana a generico impegno umanitario che relega la fede in una dimensione privata, fino a quello che ha definito il “disastro educativo” del nostro tempo che rappresenta una grande “sfida urgente e inderogabile” per la Chiesa e per l’intera comunità cristiana che deve porsi come “comunità educante”.
Questa azione deve svolgersi nella quotidianità dell’agire da cristiani, e deve tendere a coinvolgere tutto l’agire dell’uomo, la sua spiritualità, il suo sguardo sulla storia che deve assimilarsi allo sguardo di Cristo e della Chiesa. Deve essere in pratica un’azione formativa globale e integrale. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo occorre vivere il respiro della Chiesa a tutti i livelli. Sintonizzarsi con gli insegnamenti e il magistero di Papa Francesco, alimentando la comunione col Santo Padre anche attraverso la preghiera, vivere le indicazioni pastorali diocesane come percorso educativo comunitario promuovendo l’alleanza educativa tra parrocchia, famiglia e scuola che trova nella dimensione diocesana il suo coordinamento ottimale, rispetto al quale la Diocesi ha istituito la speciale “Commissione per l’educazione, la scuola e la pastorale giovanile”, e infine vivendo attivamente quel cantiere quotidiano all’educazione cristiana che è la parrocchia.
Partendo dalla lettura del brano evangelico dell’incontro dei discepoli Giovanni e Andrea con Gesù, tratto dal vangelo di San Giovanni, il Vescovo ha spiegato il senso profondo del gesto educativo parte dal desiderio di un incontro, di un annuncio che porti gioia nel cuore dell’uomo, e quindi da un’attesa innata alla quale occorre rispondere. Di fronte a questa domanda “l’educatore vero non assiste impotente all’inerzia dell’educando o alla sua intraprendenza, non resta imbrigliato dalle domande dell’educando ma va oltre, se ne prende cura, lo prende in custodia, assume su di sé il destino dell’altro, provoca la sua libertà con l’intento di far venire a galla ciò che di più autentico abita nel suo cuore”. Educare è suscitare e accompagnare la domanda che è nel cuore dell’uomo, trarre fuori il meglio di sé e guidarlo a capire, ad amare e a sperare.
È questa la dimensione dell’azione formativa integrale, che non tralascia nessun aspetto della vita delle persone e che le coinvolge nella propria gioia, perché come diceva San Giovanni Bosco “l’educazione è cosa del cuore”. E si può trasmettere solo se nel cuore di colui che educa alberga Cristo stesso. “Essere educatori – ha detto Monsignor Orofino citando Benedetto XVI – significa avere una gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita; significa offrire ragioni e traguardi per il cammino della vita, offrire la bellezza della persona di Gesù e far innamorare di Lui, del suo stile di vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in Dio Padre. Significa soprattutto tenere alta la meta di ogni esistenza verso quel “di più” che ci viene da Dio”.
Francesco Addolorato
Assemblea diocesana – 1 settembre 2019 – Francavilla in Sinni
Presentazione e consegna dell’Agenda diocesana –
ANNO PASTORALE 2019 – 2020
… per il bene integrale delle persone LA SFIDA EDUCATIVA
- Le tappe del cammino compiuto in questi tre anni
”Permettetemi di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni:in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio», così Papa Francesco il novembre 2015 nel suo discorso ai convegnisti di Firenze (9 – 13 novembre 2015), e così abbiamo fatto.
Il cammino intrapreso con il mio ingresso in Diocesi – in piena sintonia ecclesiale con quello percorso sotto la guida saggia e paterna di mons. Nolé – guidati dall’Evagelii gaudium”, ci ha portati (nell’anno pastorale 2016 – 2017) a compiere un diffuso lavoro di discernimento comunitario, realizzato in (quasi) tutte le parrocchie e confluito nel convegno diocesano di Paestum (23 – 25 aprile 2017).
Nel 2017 – 2018 – guidati dalla mia Lettera pastorale Al fine di edificare il Corpo di Cristo – abbiamo puntato sul rinnovamento dell’azione ecclesiale, insistendo in modo particolare sul cambiamento del metodo ecclesiale (sinodale) e dello stile pastorale, sulla presenza nel territorio e nel mondo della cultura, sul superamento dell’autoreferenzialità delle singole parrocchie per dare vita a feconde unità pastorali (cfr. Parroco-moderatore) e a incidente pastorale integrata.
Le persone, cuore della pastorale (Le persone nella Chiesa) è stato il tema che ha guidato la nostra azione ecclesiale durante l’anno pastorale 2018 – 2019, volendo intensificare la nostra attenzione alle persone nei loro contesti di vita (non gli organigrammi, ma le persone) e favorire una più concreta corresponsabilità pastorale di tutti i fedeli (secondo la vocazione, il carisma e il ministero di ciascuno).
Quest’anno (2019 – 2020) ci vogliamo prendere cura delle persone nell’aspetto più intimo e decisivo della loro esistenza, quello educativo, quello per cui una persona è se stessa (Le persone nella loro identità personale)
- A che punto siamo?
Osando una qualche verifica pastorale, appaiono piuttosto chiaramente sia
i passi in avanti (Unità pastorali, corresponsabilità ecclesiale, vivacità in alcuni ambiti pastorali, vitalità e solidità amministrativa, attenzione caritativa, una certa fecondità vocazionale …) che i punti problematici (autoreferenzialità/chiusura di alcune parrocchie, partecipazione più “rituale” che “reale” alle iniziative diocesane, accentuazione della dimensione “cultuale/celebrativa” dell’azione pastorale (ndr. In alcune parrocchie si fa solo questo) con scarsa incidenza culturale e sociale nel territorio, permanenza di metodi e strutture ecclesiali dei tempi della “cristianità”, una certa resistenza alla “conversione pastorale”, assenza (tra noi adulti) della consapevolezza del compito educativo e – quindi – di una reale preoccupazione educativa, preferenza per l’organizzazione di eventi – l’inganno dell’eventificio – e rinuncia alla fatica di ogni giorno per educare qualcuno, …).
«Anche nel nostro territorio e nelle nostre parrocchie – come ho avuto modo di scrivere nella mia Lettera pastorale “Al fine di edificare il Corpo di Cristo”, 10 – sono presenti le conseguenze del vasto processo di secolarizzazione che oggi investe le varie dimensioni della vita delle persone e molti ambiti socio-culturali. Ne sono segni evidenti e insieme effetti dirompenti il relativismo morale, il senso di smarrimento e di incertezza, la frammentazione dei punti di riferimento, l’annebbiamento dei valori, il calo della pratica religiosa, la riduzione dell’esperienza cristiana a generico impegno umanitario e alla sfera privata, la frattura tra la fede e la vita, il crescente analfabetismo religioso delle giovani generazioni, il vago e pericoloso “ritorno” di un sacro sempre più indistinto e spersonalizzato».
Anche tra noi occorre ridare unità all’io diviso e frantumato per ricostruire la persona, il cristiano, il cittadino.
Non possiamo rimanere con gli occhi chiusi e non vedere il “disastro” educativo del nostro tempo, anche nel nostro territorio. Insieme dobbiamo dare ascolto al “grido educativo” che proviene dalle famiglie e dalle giovani generazioni. È un grido unanime!
La crisi di oggi è antropo0logica, … cioè educativa
- Una sfida da accogliere
Anche tra noi, quindi, l’emergenza più pressante è quella educativa. «Urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana», ha ammonito San Giovanni Paolo II nel 1988. «Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali» e della vita dei singoli cristiani (Esortazione apostolica postsinodale Christifideles Laici, 34).
Ecco la sfida urgente e inderogabile che abbiamo davanti, con la consapevolezza che «la santa madre Chiesa ha un suo compito specifico in ordine al progresso e allo sviluppo dell’educazione» CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Gravissimum educfationis, proemio), poiché l’annuncio del Vangelo (compito specifico della Chiesa) è per la vita dell’uomo, per la sua gioia, per il suo bene integrale. Evangelizzare ed educare sono compiti sempre compresenti nell’azione della Chiesa, che educa evangelizzando, evangelizza educando. Da sempre la Chiesa ha accompagnato i suoi figli nel cammino della vita, poiché l’educazione (percepita come un processo umano globale e primordiale nel quale entrano in gioco le strutture portanti dell’esistenza della persona: relazionalità, amore, conoscenza, libertà, …) è una dimensione imprescindibile dell’annuncio del Vangelo.
«Ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti», così scrivevano i vescovi italiani nel 2006, a conclusione del Convegno di Verona (Rigenerati per una speranza viva. Testimoni del grande sì di Dio all’uomo, 17).
- Chi, cosa, dove, quando?
- Chi deve educare?
L’opera educativa deve coinvolgere tutti noi: genitori, sacerdoti, insegnanti, catechisti, operatori pastorali, …. Nessuno escluso. Siamo tutti educatori, sempre educatori, poiché la missione educativa è «esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa» (BENEDETTO XVI, Discorso alla 59a Assemblea Generale della CEI, 28 maggio 2009).
Anche nella missione educativa il soggetto è tutta la Comunità cristiana, che è interamente comunità educante, e che a volte manifesta la sua vocazione attraverso il carisma speciale di alcuni che agiscono a nome della comunità, … stando nella comunità.
- Cosa fare?
Non dobbiamo fare di più! Non dobbiamo organizzare altre e più sofisticate iniziative.
Siamo chiamati a dare alle nostre azioni pastorali una più precisa e più chiara finalità educativa, in quanto dimensione permanente e unificante dell’agire ecclesiale. Tutte le attività devono tendere a sostenere il cammino spirituale delle persone per condurle a una matura esperienza di vita cristiana, alimentata da una fede adulta e pensata.
Dobbiamo continuare a svolgere tutte quelle attività che normalmente caratterizzano la vita delle comunità che ben si distinguono per esemplarità di prassi pastorale. Dobbiamo farlo, però, con la consapevolezza che ogni iniziativa ha una valenza educativa in ordine alla crescita spirituale delle persone e alla qualità della vita cristiana delle nostre comunità parrocchiali.
La nostra azione formativa deve essere globale e integrale. Deve, cioè, riguardare tutti gli ambiti della vita ecclesiale e tutte le dimensioni della vita cristiana. Tutto quello che facciamo deve tendere a introdurre e accompagnare le persone all’incontro con Cristo. Tutto deve condurre ad amare di più Cristo e la Chiesa, a giudicare la realtà secondo il pensiero di Cristo e della Chiesa, a guardare il mondo con lo sguardo di Cristo e della Chiesa, ad appartenere con cuore indiviso a Cristo e alla Chiesa, a stare con Cristo e nella Chiesa.
“In modo vario, ma sempre organico, la missione educativa riguarda unitariamente tutta la vita del cristiano: la conoscenza sempre più profonda e personale della fede; la sua appartenenza a Cristo nella Chiesa; la sua apertura agli altri; il suo comportamento nella vita” (CEI, Il rinnovamento della catechesi, 38).
La nostra azione educativa, ci dicono i vescovi negli Orientamenti Pastorali per il decennio 2010 – 2020, «deve tendere all’incontro con Gesù mediante il riconoscimento della sua identità di Figlio di Dio e Salvatore; l’appartenenza consapevole alla Chiesa; la conoscenza amorevole e orante della Sacra Scrittura; la partecipazione attiva all’Eucaristia; l’accoglienza delle esigenze morali della sequela; l’impegno di fraternità verso tutti gli uomini; la testimonianza della fede sino al dono sincero di sé» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 32).
Obiettivo sintetico dell’opera educativa della Chiesa è: “educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo” (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il rinnovamento della catechesi, 38).
- Dove e quando educare?
La Chiesa educa attraverso tutti i suoi gesti, in tutta la sua struttura, con tutti gli strumenti che volta per volta sceglie per svolgere la sua missione negli ambienti e nelle circostanze della vita delle persone.Lo fa a livello universale, diocesano e parrocchiale. Tre livelli di un’unica missione: far crescere persone unificate dall’incontro con Gesù Cristo.
- A livello universale (… è il livello del respiro ideale e universale).Dobbiamo meglio sintonizzare lo sguardo, il cuore e l’intelletto con quelli di Papa Francesco per imparare da Lui a stare di fronte a Gesù Cristo e nella Chiesa, pronti a metterci in discussione e a renderci disponibili per un reale cambiamento di vita e di azione pastorale. Con più decisione dobbiamo assumere il Magistero del Papa come guida del nostro agire (come Magistero, non come una delle opinioni), ascoltando il suo insegnamento e studiando i suoi documenti.
- A livello diocesano (… è il livello dell’appartenenza ecclesiale. La partecipazione consapevole e sistematica alle iniziative diocesane è fondamentale per crescere in appartenenza ecclesiale, per superare il pericolo delle “chiusure” ghettizzanti, per immettere i fedeli nel dinamismo vitale della vita di comunione, dell’edificazione reciproca e della condivisione dei beni (spirituali e materiali), etc…
Per crescere a questo livello dobbiamo “accogliere” con maggiore fedeltà e più incisiva operatività le “indicazioni pastorali” del Vescovo che emana direttamente oppure tramite gli Uffici diocesani. La mia lettera pastorale Al fine di edificare il Corpo di Cristo del 2017 deve essere meglio studiata per orientare più decisamente l’azione pastorale della Comunità diocesana nelle singole parrocchie (… contiene indicazioni tutt’ora valide).
Le iniziative che si organizzano a livello diocesano o zonale (Assemblea di inizio anno pastorale, Giornata della vita e della pace, Festa della Fede, i Focus tematici, la Scuola di Cristianesimo, Convegni o eventi promossi dagli uffici o dalla CDAL, Betania, Tabor, Tiberiade, GMG, etc….) vanno proposte e vissute personalmente – liberamente e lietamente – (… non per “rappresentare” la parrocchia) secondo il loro intrinseco significato e valore (… per il motivo per cui vengono proposte).
“Stancano le attività vissute male”! «Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male – ci ha detto Papa Francesco nell’Evagelii Gaudium – senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata» (n. 82).
In particolare.
Nell’opera educativa è particolarmente necessaria una vera “alleanza” tra la Parrocchia, la famiglia e la scuola. Per renderla possibile (soprattutto con la scuola) ho istituito una speciale “Commissione per l’educazione, la scuola e la pastorale giovanile” con l’intento di accompagnare le giovani generazioni in tutti luoghi di vita. Quest’anno dovremo dare una particolare attenzione al mondo della scuola, anche attraverso un dialogo più costruttivo.
Attraverso la CDAL, la Diocesi intende mettere in atto una vasta opera di formazione alla “vita sociale” (incontri con gli Amministratori, corso di formazione, etc…).
Da ultimo! Dal 30 aprile al 3 maggio 2020 celebreremo il nostro convegno residenziale diocesano per fare un lavoro di verifica sul cammino compiuto e individuare le linee programmatiche per il prossimo triennio (visita pastorale: preparazione, celebrazione, attuazione).
- A livello parrocchiale (… è il livello del cammino quotidiano, fatto di fatica, di circostanze, di volti, di storie particolari ….)
Nel “cantiere dell’educazione cristiana” un ruolo decisivo lo rivestono le parrocchie, le Associazioni e i movimenti ecclesiali, cioè quelle strutture ecclesiali che accompagnano le persone nei luoghi e nelle circostanze della vita, lì dove le persone fanno le loro scelte e incontrano altre persone.
Negli orientamenti pastorali 2010 – 2020 (EVBV) leggiamo:
«La parrocchia, in particolare, vicina al vissuto delle persone e agli ambienti di vita – scrivono i vescovi negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010 – 2020 – rappresenta la comunità educante più completa in ordine alla fede. Mediante l’evangelizzazione e la catechesi, la liturgia e la preghiera, la vita di comunione nella carità, essa offre gli elementi essenziali del cammino del credente verso la pienezza della vita in Cristo.
La catechesi, primo atto educativo della Chiesa nell’ambito della sua missione evangelizzatrice, accompagna la crescita del cristiano dall’infanzia all’età adulta e ha come sua specifica finalità «non solo di trasmettere i contenuti della fede, ma di educare la ‘mentalità di fede’, di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita». Per questo la catechesi sostiene in modo continuativo la vita dei cristiani e in particolare gli adulti, perché siano educatori e testimoni per le nuove generazioni. (Ndr: “La catechesi, perciò,è un dovere fondamentale per ogni parrocchia e uno strumento necessario per sviluppare e nutrire la vita cristiana dei fedeli di tutte le età – ragazzi, giovani, adulti – attraverso un’opera educativa costante, mirata e approfondita. Non sono opportune riduzioni e interpretazioni: in tutte le parrocchie della nostra diocesi la catechesi per tutti deve essere un insegnamento permanente, organico e sistematico, con frequenza settimanale e una programmazione coerente e finalizzata. Occorre altresì evitare la dispersione dei contenuti puntando sull’essenziale e proponendo tutte le fondamentali verità di fede che la Chiesa Cattolica professa. È importante, perciò, che si curi con particolare scrupolosità la formazione specifica dei catechisti, che deve avvenire a livello parrocchiale e zonale” (Al fine di edificare il Corpo di Cristo, 39).
La liturgia è scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto, «luogo educativo e rivelativo» in cui la fede prende forma e viene trasmessa (ndr. La centralità della Messa domenicale, una – o poche – ma ben curata e preparata …).
La carità educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto di una comunità che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso» (n. 39).
A riguardo è bene riprendere le indicazioni date nella terza parte (nn. 34 – 00) della mia lettera pastorale “Al fine di edificare il Corpo di Cristo” del 2017.
- Alla scuola di Gesù (Gv 1,35-51) … per imparare l’arte educativa
Per delineare – brevemente – i tratti salienti del processo educativo mi avvalgo di un brano del Vangelo di San Giovanni (1,39-51), dove viene raccontato l’incontro di Giovanni e Andrea – due discepoli di Giovanni Battista – con Gesù. Un incontro che ha cambiato la vita dei due e dei loro amici.
I primi discepoli (Gv 1,35 – 51)
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!».
37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?».
Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?».
39Disse loro: «Venite e vedrete».
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù.
Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
43Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». 44Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro.
45Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». 46Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
47Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». 48Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». 49Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». 50Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». 51Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
- “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio! E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (vv. 35-37).
Giovanni e Andrea, i due discepoli, non sono nuovi all’esperienza del discepolato, fanno parte del gruppo dei discepoli di Giovanni Battista. Fanno parte di un Popolo che attende il Messia. Sono già dentro un cammino educativo in attesa del compimento (vedere e incontrare il Messia). Seguono un maestro: Giovanni Battista. Giovanni e Andrea sono dentro una tradizione, nel senso che vivono dentro un contesto di valori e di attese tipiche del popolo a cui appartengono. In questo contesto Giovanni Battista indica Gesù come colui nel quale si compie l’attesa messianica (“Ecco l’agnello di Dio”). In questo contesto i due seguono Gesù.
Emergono qui alcuni elementi fondamentali di un atto educativo:
- Innanzitutto l’attesa e il desiderio. Giovanni e Andrea, come tutti i loro amici, attendevano il Messia annunciato. Un’attesa vera e quasi fisica. Era l’attesa del compimento di una grande promessa per la loro vita, quella del Messia e dell’avvento del Regno di Dio (un regno nuovo, una vita nuova).
Il desiderio che accada quello che il cuore desidera è la condizione previa di ogni atto educativo. Un desiderio/attesa che non si placa neanche quando l’uomo ha trovato quello che cercava, poiché il desiderio di verità, di amore, di bene e di bellezza è sempre proteso verso una pienezza che è sempre “oltre” (Non smettiamo mai di essere dentro un cammino educativo). Il “compimento” supera ogni nostro desiderio. L’Educatore parte dalla domanda del discepolo, … oppure lo aiuta a porsi domande …. Ma lo proietta “oltre” la domanda espressa … oltre … nella storia di un popolo ….
- La tradizione. Ogni relazione educativa – tra Educatore ed educando – non è chiusa in se stessa – non è isolata, non è astratta – bensì avviene nella vita del popolo a cui appartengono, che ha un patrimonio ideale, valoriale e culturale, che chiamiamo “tradizione” (come processo di tramandare o di vivere l’eredità tramandata: il Popolo di Dio ha tramandato nella memoria, nell’esperienza, nell’espressione e nell’interpretazione l’autorivelazione di Dio che ha raggiunto la sua pienezza in Gesù di Nazareth). La tradizione in cui avviene l’opera educativa fornisce all’educatore e all’educando una ipotesi di vita, risorse interpretative, modelli di comportamento provati dal tempo e resi autorevoli dall’esperienza. Per educare occorre fare una proposta di vita, anche semplicemente come “ipotesi esplicativa” delle esigenze fondamentali del cuore. Senza una proposta non si può dire “si” a nessuno. La permanenza nella tradizione permette di farlo (di educare), custodendo il passato e rendendolo vivo nel presente (l’educazione avviene nei luoghi e nelle circostanze della vita, ma con una ipotesi/proposta). L’educazione avviene in un contesto sociale e culturale.
- L’educatore. Il gesto di Giovanni Battista di chiedere ai due discepoli di seguire Gesù “Ecco l’agnello di Dio” (lasciando lui),insegna che il vero educatore non rimanda a sé, bensì al luogo a cui appartiene e in cui si educa, al maestro che segue e da cui impara la fede, all’avvenimento che ha cambiato la sua vita e in cui permane, alla promessa che vibra nel suo cuore e in cui spera, all’orizzonte entro cui la sua vita è compresa e in cui realizza tutto il suo impegno, … e in questa esperienza di vita, alla fine, educatore ed educando si trovano insieme a lodare il Signore e a fare la stessa esperienza di comunione ecclesiale, la medesima appartenenza, l’identica carità.
- «Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?» (v. 38).
Gesù prende l’iniziativa ed evita ai due discepoli di Giovanni Battista l’imbarazzo dell’incontro iniziale. È Gesù che fa la domanda, con l’intento di provocare i due a interrogarsi sul significato autentico della propria ricerca: “Che cosa cercate?”. È una vera “pro-vocazione”! Gesù provoca la domanda successiva, suscita nel cuore dei discepoli il desiderio e, quindi, la domanda. Gesù vuole aiutare i due a chiarire a se stessi che cosa stanno cercando davvero nella vita. La domanda è dei due, ma la provoca Gesù.
L’educatore vero non assiste impotente all’inerzia dell’educando o alla sua intraprendenza, non resta imbrigliato dalle domande dell’educando (va oltre): no, se ne prende cura, lo prende in custodia, assume su di sé il destino di quel giovane, provoca la sua libertà con l’intento di far venire a galla (tirar fuori) ciò che di più autentico abita nel cuore del giovane, facendone emergere il desiderio inespresso, … suscita (o accompagna) la domanda
Il bravo educatore introduce il discepolo nella realtà totale colta nel suo significato (dicendone il significato), guidando lo sviluppo di tutte le sue dimensioni costitutive e di tutti i suoi rapporti con l’ambiente in cui vive; sa trarre dal discepolo il meglio di sé e lo guida a capire, ad amare, a sperare.
- «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?» (v. 39).
La domanda di Gesù ha colto nel segno: i due non aspettavano altro e in grande fretta chiedono di stare con Gesù: «Maestro, dove dimori?». Sono affascinati da Gesù e da lui si sentono già amati (uno che è interessato a loro, alla loro vita, al loro bene), ecco perché sono interessati a lui e alla sua proposta di vita. Inizia, così, una relazione profonda e stabile tra Gesù e quei due. Una relazione che cambia la vita di Giovanni e Andrea e le loro relazioni con le persone più care (con il fratello Pietro, etc. …).
Le relazioni educative sono sempre generative: generano sempre nuova vita e nuove relazioni. Così si educa un popolo! Da incontro a incontro, perché «l’educazione è cosa del cuore» (San Giovanni Bosco). Nell’opera educativa «va privilegiato il linguaggio della vicinanza – ci ha insegnato Papa Francesco – il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale ed esistenziale che tocca il cuore, raggiunge la vita, risveglia speranza e desideri. Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo» (Christus vivit, Esortazione apostolica postsinodale, 211). Nell’educazione alla fede tutto nasce dall’amore e tutto tende all’amore.
- «Disse loro: «Venite e vedrete» (v. 39).
Alla domanda di Giovanni e Andrea (“Dove dimori?” Gesù risponde con un imperativo e una promessa (“Venite e vedrete”). La chiamata (la proposta) è all’imperativo (“venite”), la promessa al futuro (“Vedrete”). Gesù non dice che cosa vedranno, né quando la vedranno: quello che è importante è stare con lui. Questa è la garanzia della risposta alla loro domanda. La garanzia è la sua persona, è lui, … nemmeno quello che promette (Ai discepoli di Gesù bastava stare con lui, perciò non aspiravano a prendere il suo posto).
Dopo una serie di domande, giunge la proposta esplicita di Gesù: “venite da me”. Gesù «Ci mostra, così, che per stabilire un rapporto educativo occorre un incontro che susciti una relazione personale: non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere» (EVBV, 25). Non si educa nessuno senza una proposta esplicita, diretta, possibile e coinvolgente.
Un bravo educatore, essendo impegnato seriamente con la propria vita, fa al discepolo una proposta di vita esauriente e totalizzante, impegnativa e definitiva, chiara e unitaria, vera e buona, avendola già verificata come tale nella sua esistenza.
Il cammino educativo accade nella sequela, pur senza conoscerne prima la meta (l’esito). Ciò che conta è mettersi sulla strada giusta, nella direzione giusta, disposti a fare tutto il percorso (il camminare dietro a qualcuno fa parte già della meta).
Il metodo educativo comporta la sequela di qualcuno che il Signore ci pone dinanzi per la santità di vita o per l’autorevolezza che ha di fronte a Dio e nella Chiesa. La sequela permette di immedesimarsi con questa esperienza vivente e di goderne i frutti già adesso (“Il centuplo quaggiù). Nella sequela la vita è custodita e il cammino verso la meta è reso più facile e sicuro.
- «Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39).
I discepoli accettano la proposta di Gesù, “restano con lui”, si mettono in gioco personalmente, pur non conoscendo la meta, cioè il contenuto della promessa (“vedrete”). Restano con lui perché si fidano di lui, perché è bello stare con lui, perché è accaduto qualcosa di eccezionale. Talmente eccezionale che basta per essere felici e ne ricordano con precisione l’ora.
Sempre l’opera educativa comporta una decisione che scaturisce dall’incontro di due libertà, quella dell’educatore e quella di chi accetta la sfida di essere educato.Una libertà che deve favorire l’assunzione di responsabilità per evitare di lasciare l’educando in preda ai suoi gusti e alla sua istintività, senza nessi e senza legami. «Sempre il processo educativo è determinato dall’adesione della libertà alla verità – ci ha insegnato Benedetto XVI –In un rapporto che richiede la formazione della volontà e della libertà per pervenire a scelte responsabilmente assunte. Ogni autentico atto educativo, perciò, è fondato nella verità oggettiva di sé e della realtà, a cui aderire attraverso l’esercizio della libertà responsabile. Ogni rapporto educativo è l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà» (BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, in La Traccia (2008), n° 1, p. 84).
Altro elemento fondamentale per portare a compimento il processo educativo è il tempo, nel senso che «l’educazione è un processo di crescita che richiede pazienza e perseveranza. Progredire verso la maturità impegna la persona in una formazione permanente (…) La relazione educativa esige pazienza, gradualità, reciprocità distesa nel tempo. Non è fatta di esperienze occasionali e di gratificazioni istantanee. Ha bisogno di stabilità, progettualità coraggiosa, impegno duraturo» (CEI, EVBV, 28.25). Siamo tutti in formazione, sempre in formazione.
Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari: è un cammino ben preciso, fatto di tappe, di soste, di indicazioni, seguendo una guida, percorrendo una strada, verso una meta ……
Un cammino che sulla terra non termina mai, perché ogni tempo e ogni età comporta decisioni sempre nuove, frutto della libertà personale.
- «Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù …..» (vv40-ss).
…. Da quell’incontro tanti altri incontri, tutti veicolati da persone toccate dalla grazia attraverso incontri imprevisti e sorprendenti che hanno sconvolto la loro vita.
Da sempre la vita nuova sgorgata dalla risurrezione di Gesù Cristo si è comunicata nell’esperienza cristiana ed è arrivata a noi nella Chiesa, oggi, qui ….
- …. Per una Chiesa “lieta col volto di mamma”
Siamo chiamati a far nostra l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai delegati al Convegno ecclesiale di Firenze (9 – 13 novembre 2015): “Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa,innovate con libertà».
Il nostro territorio – come più volte mi è capitato di ribadire – ha bisogno di una Chiesa più libera, più aperta e meno ripiegata su se stessa, più partecipata, più profetica, più propositiva, più presente, più capace di coinvolgersi con la vita concreta delle persone.
Questo Popolo di Dio dobbiamo far crescere nel territorio che abitiamo. Insieme, ognuno per la sua parte. Solo un Popolo maturo e consapevole della propria identità può orientare la storia ed essere segno di speranza per l’intera società, accompagnando la crescita di persone sostenute da ideali forti e valori perenni.
Solo una Chiesa così – che resta discepola del Signore nello spazio e nel tempo – può essere ascoltata come madre e maestra e diventare il soggetto adeguato di una nuova stagione educativa, finalizzata al bene integrale delle persone.
Siamo chiamati, perciò, a mettere in atto una rinnovata azione educativa che sappia coinvolgere tutti i soggetti sociali presenti e operanti nel territorio (soprattutto Famiglia, Scuola, Parrocchia). È questo il tema che deve orientare e unificare la nostra azione pastorale durante quest’anno che abbiamo davanti, a conclusione del decennio sull’educare alla vita buona del Vangelo.
Concludendo:
Chiediamo alla Vergine Maria, Madre della Chiesa e Sede della Sapienza, il dono di un cuore umile e libero per imparare dal Figlio suo Gesù a “metterci in gioco” con i nostri giovani «per ascoltarli senza stancarci, custodirli senza possederli, accompagnarli senza braccarli, correggerli senza colpevolizzarli, spronarli senza stancarli, guidarli con autorevolezza senza essere autoritari» (Al fine di edificare il Corpo di Cristo, 32).
Ci sia di guida l’esortazione che il Santo padre Benedetto XVI nel 2010 ha rivolto agli educatori dell’Azione Cattolica: “Essere educatori significa avere una gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita; significa offrire ragioni e traguardi per il cammino della vita, offrire la bellezza della persona di Gesù e far innamorare di Lui, del suo stile di vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in Dio Padre. Significa soprattutto tenere alta la meta di ogni esistenza verso quel “di più” che ci viene da Dio”.
Il Signore ci conceda la grazia di essere educatori così.
+ Vincenzo Orofino