QUANDO SI TENTÒ DI SPOSTARE LA DIOCESI A POLICORO E, PRIM’ANCORA, IN ALTRO COMUNE IMPRECISATO (nel 1973 e nel 1945)

Diocesi - Chiesa
Mons. Dino Tomassini

Ero uno studente pendolare al terzo anno del liceo Scientifico di Policoro e, come capita quasi sempre e ovunque a tantissimi adolescenti, si guardava poco e distrattamente alle cose vicine e di casa, ma con maggiore costanza e cura a quelle distanti, pure lontanissime, magari inseguendo giustamente perfino i sogni. Ciononostante, capitò allora, nell’anno scolastico 1972-73 e faceva freddo, una calda rivolta di popolo, un inedito movimento locale di massa, certamente “spontaneo”, improvviso e trasversale, che ci coinvolse, potremmo dire anche nostro malgrado e perciò indipendentemente dalle convinzioni religiose e politico-ideologiche. Anche noi giovani sentivamo di dover sostenere quella che sembrava una rivendicazione giusta: la difesa della sede vescovile a Tursi, per evitare cioè la sua traslazione a Policoro. La fiorente cittadina Jonica, comune autonomo dal 1959, era allora una realtà in forte sviluppo, con tutti gli indicatori economico-demografici e socio-culturali in grande crescita. Qualcuno di noi pensò subito che sarebbe stato difficile perdere quella battaglia, ma proprio quegli accadimenti evidenziarono l’avvio di un lento processo di declino per Tursi, con il depotenziamento progressivo del ruolo delle istituzioni pubbliche, come poi si è verificato nei decenni successivi.

All’epoca era vescovo della diocesi di Anglona e Tursi mons. Dino Tommasini[1] (1913 – 1980). Nel clima post natalizio del 1973, si era sparsa improvvisamente la voce del tentativo in atto, che si sarebbe consumato entro breve tempo, di portare la sede vescovile nella fiorente cittadina Jonica, si insinuava con l’assenso già acclarato del presule, con una certa dietrologia che lo voleva anche colpevole di avere assidue frequentazioni marine, almeno così pareva. Il passaparola aveva funzionato efficacemente e in modo incisivo. Nel pomeriggio, la gente si era ammassata al limitare della grande piazza Maria SS. Di Anglona, poi d’improvviso impedì il transito verso il centro storico e a stento in via Roma nei due sensi, addensandosi tra la cattedrale e l’episcopio, mentre urla, gesti e invettive si levavano sempre più incontrollabili contro la figura del vescovo. Dalla cattedrale era uscito l’arciprete, don Ferdinando Conte, per tutti e sempre don Antonio, sacerdote tradizionalista, rigoroso e antimodernista, visibilmente scosso e con l’espressione del volto preoccupata, il quale proferì anche alcune frasi, del tipo “Ma che state facendo? Vi sbagliate. Che state dicendo?”. Scese i gradini e venne in strada, nel mezzo della folla sempre più agitata la quale prefigurava di voler forzare il portone dell’episcopio.

Questo movimento insistente, crescente e soprattutto infuriato, con alcune frasi assai volgari ed offensive dirette al presule, stimolarono don Antonio a farsi spazio tra i manifestanti, arrivò ad un metro circa e capimmo subito che voleva avvicinarsi al nipote Tonino De Mare, giovane perbene, a sua volta preoccupato per lo zio che osava tentare di contrastare a parole gli slogan dei contestatori. Ma, si sa, provare a ragionare è impossibile con la irrazionalità della folla, mentre le attendiste e non numerose forze dell’ordine avevano il pieno controllo, seguendo l’evolvere della situazione, con attenzione, discrezione e tolleranza. Quasi subito il canonico indirizzò al nipote una manata, che parve a tutti uno schiaffone, dicendo “Che ci fai tu qui?” (in mezzo a loro, voleva sottintendere). Pur sorpreso e impreparato, il giovane Tonino non reagì, se non aggiungendo più volte “Zio Antonio, Zio Antonio… fermati”. Ma l’arciprete replicò urlando: “Io devo difendere il mio vescovo! Hai capito!? Andate via, andate via”. Poi, in serata, la manifestazione si risolse, cioè quando fu fatta trapelare la voce che le notizie erano infondate e che non se ne sarebbe fatto niente. Insomma, tutto si pacificò quando si capì che l’onore della comunità e dell’antica diocesi erano salvi, anche se fu convinzione diffusa che almeno il tentativo di spostamento era stato fatto. Le ragioni della storia avevano avuto il sopravvento sulle imposizioni della modernità, per una volta, sembrò. Questi i ricordi personali della cronaca di quella data.

Si aggiungono adesso, dopo 48 anni, alcuni tasselli di verità, che allora, nell’inverno del 1973, non potevamo sapere né considerare, se non in parte. Intanto, se analizziamo la cronotassi dei vescovi della nostra diocesi, si nota subito che mons. Tomassini, nominato il 23 agosto 1970, è stato realmente l’ultimo vescovo in sede della diocesi di Anglona e Tursi, fino al 12 dicembre 1974 quando è stato traslato in Umbria. I fatti accaddero dunque, a distanza di circa due anni e mezzo dal suo arrivo a Tursi. Il successore, il pugliese mons. Vincenzo Franco (Trani, BT, 1 giugno 1917 – Trani, 4 marzo 2016), è solitamente indicato come ultimo vescovo della diocesi di Anglona e Tursi e il primo nominato vescovo di Tursi-Lagonegro (1974/76 – 1981). In realtà, annunciato da papa Paolo VI nel concistoro del 12 dicembre 1974 e consacrato vescovo il 26 gennaio 1975, mons. Franco è arrivato a Tursi l’8 settembre 1976 e ha lasciato ufficialmente la diocesi il 27 gennaio 1981, traslato arcivescovo di Otranto. Nel mezzo, la importante riforma che ha ridefinito i confini delle diocesi lucane in ambito regionale, creando così la Regione Ecclesiastica di Basilicata[2], proprio l’8 settembre e nella configurazione interprovinciale lucana (costituita con il decreto Eo quod spirituales della Congregazione per i Vescovi del 12 settembre 1976, con il quale viene soppressa la Regione pastorale Lucana-Salernitana, sorta nel 1889, e la sua Conferenza episcopale). E mentre Anglona è diventata sede titolare, la diocesi di Anglona e Tursi ha assunto da allora la denominazione di Tursi – Lagonegro e comprende sette comuni in provincia di Matera, dell’area del Basso Sinni, e 32 della provincia di Potenza, nell’intera zona sud-ovest. Capita, certo, ma sta di fatto che per quasi due anni, dal dicembre 1974 al settembre 1976, Tursi aveva il regolare vescovo residenziale solo nominalmente.

Tuttavia, in questi giorni di pandemia, di post vaccino e di altre limitazioni, oltre che di riordino dell’archivio di casa, mi è capitato di leggere una riflessione pubblica del 1973 dell’indimenticato Don Aldo Viviano[3] (Chiaromonte, PZ,10 luglio 1931 – Carbone, PZ, 3 gennaio 2021), grande parroco di Carbone, (PZ), dove è morto a 89 anni: Parte da considerazioni di ordine pastorale e funzionale il trasferimento della sede vescovile da Tursi a Policoro” (Roma – Cronache della Lucania, martedì 20 febbraio 1973). Questo non è proprio un articolo di corrispondenza, ma uno specifico intervento sulla questione da parte dello stimato e valoroso sacerdote, intellettuale, giornalista e scrittore. Il quotidiano Roma ben sintetizza il testo, tendenziosamente anche con l’occhiello La cittadina Jonica è una delle poche a registrare un continuo aumento della popolazione. La lettura ci restituisce il pensiero convinto e motivato di don Aldo, con l’abituale franchezza, ma ci rivela pure alcuni aspetti che oggi meglio si contestualizzano, proprio perché l’autore era motivatamente a favore dello spostamento, come si evince dall’ampio stralcio che trascrivo (mio il corsivo):

“I cittadini di Tursi hanno inscenato due ore di sciopero in piazza Cattedrale per protestare contro la ventilata della sede vescovile… Vogliamo solo dire il nostro pensiero in merito al presunto trasferimento di ubicazione degli organi diocesani nella vicina Policoro. Trattandosi di ‘voci’ attendibili e controllate, ma sulle quali non siamo in grado di verificare la pienezza determinazionale. Consideriamo il problema soltanto dall’esterno, seguendo cioè l’eco di una pubblica opinione largamente diffusa tra il clero e i fedeli. Riteniamo che il processo di ristrutturazione parta da ovvie considerazioni di ordine pastorale in merito alla funzionalità ed efficienza dei servizi della chiesa. Policoro è il centro nuovo del basso materano… nel quale pullula la vita di una continua immigrazione contadina. Si può chiamare il prototipo della Riforma Fondiaria: vi si respira l’aria della ricostruzione e della vita del dopoguerra. Si calcola un aumento di popolazione nel trascorso decennio di quasi diecimila abitanti, con incremento annuo di trecento-cinquecento unità. È l’immagine visibile degli anni ’70, con le sue piccole industrie, la edilizia, le scuole, gli interessi storico-archeologici, urbanistici, balneari. La cittadina Jonica è diventata la propaggine ravvicinata del benessere e del consumo, una base effettiva di operatività ad ogni livello, un catalizzatore delle attività a più ampia propulsione e respiro, un polo magnetico del turismo provinciale, per non parlare delle continue presenze di stranieri attratti dall’arte e dal clima. Policoro è uno dei pochi paese che meno degli altri in Lucania ha risentito del fenomeno emigrazionale…Ciò dicendo – sia ben chiaro – nulla vogliamo togliere alla millenaria storia di una diocesi gloriosa che ha avuto vita ad Anglona e successivamente a Tursi. La verità è che l’antica divisione del territorio ecclesiastico è legata alle realtà politico-sociali del tempo d’origine con corrispondenti agli odierni ordinamenti provinciali-regionali. Oggi specialmente che abbiamo l’istituto delle Regioni già operanti (istituite nel 1970, ndA), si può pensare ad una diocesi come Anglona Tursi, avente paesi disseminati in tre province: Matera, Potenza, Cosenza?… Vogliamo dire che non si possono disgiungere, senza violare l’unità personale tra cittadino e cristiano, le esigenze di fede e di chiesa da quelle tecnico-organizzative. Abbiamo appresso con compiacenza che i paesi della provincia di Potenza facenti parte della diocesi di Cassano Jonico sono stati aggregati alla diocesi di Anglona Tursi, mentre quelli di quest’ultima in provincia di Cosenza sono passati alla diocesi calabrese(tutto questo è avvenuto, si, ma oltre tre anni dopo, ndA).Questo è positivo, e significa in parole povere restituire ai paesi di diversa provincia e regione l’unità in ogni ordine e grado…Concludendo ci permettiamo fare una modesta osservazione di stampo procedurale. Ad evitare la cancellazione di un antico nome, si potrebbe aggiungerlo alla nuova denominazione, in modo che la conservazione del titolo ricordi la storia ed i meriti del passato. Aldo Viviano”.

L’autorevole esponente, che evidentemente non rappresentava una opinione isolata nella diocesi, ci palesa sia la fondatezza delle voci che il nuovo assetto territoriale diocesano con più di tre anni di anticipo. Comunque sia, la rivelazione del paventato trasferimento era valida e fondata. Qualcuno fece filtrare la notizia a Tursi e la protesta montò, certo con l’obiettivo di fare rientrare il caso, però con il legittimo dubbio: senza quel moto di popolo la decisione sarebbe stata esecutiva? Tuttavia, quello che parve a tutti i non addetti ai lavori come un fulmine a ciel sereno, aveva radici lontane, almeno dal 1945, quando si pose il problema, pur alludendo ad altro comune e, proprio come nel 1974, anche allora capitò che la nomina del vescovo fosse posticipata di fatto. Ma questo episodio, che non era un segreto, solo qualche lettore di buona memoria avrebbe potuto ricordarlo. Infatti, nel suo libro di liriche, Foglie secche e Note gaie (1951), il grande maestro Elementare e Direttore didattico Vincenzo Cristiano[4] (Tursi, 17 agosto 1865 – Tursi, 21 maggio 1952), il massimo cronista del suo tempo, sia pure con i versi, scrive la lunga lirica A S.E. Reverendissima Monsignore Bernardi, con le seguenti annotazioni: Arcivescovo di Taranto nel giorno del suo ingresso ufficiale in Tursi quale nostro Delegato Apostolico 28 ottobre 1945, Annotazione. Si temeva allora che per ignota opera subdola e facinorosa dovesse essere trasferito il capoluogo della diocesi da Tursi in altro comune. Il maestro Cristiano, nella sua supplica a mons. Ferdinando Bernardi[5] (1874-1961), prima esalta il territorio e la storia di Tursi e Anglona, poi cita tutti i vescovi della diocesi, da mons. Gennaro Maria Acciardi (vescovo dal 1849) a mons. Domenico Petroni (1930), ricordando pure mons. Domenico Sabbatini (1702), anche se ignora proprio l’ultimo della cronologia, curiosamente (mons. Lorenzo Giacomo Inglese, 1935-1945). Quindi, a 80 anni di età, Cristiano formula le sue rime alternate con esemplare chiarezza a riguardo: “… misera cosa è il mio modesto canto// Che se cosparso è desso anco di spine/ e di querele inusitate e meste/ il perdono non manchi al vecchio crine//…Eppur si cerca affievolir l’ardore/ e far che la nostr’anima sia sciolta/ in pianto amaro per il gran dolore.// Perché si vuol la sede ci sia tolta/ così protetta dai possenti Doria?/ Perché una guerra sì accanita e stolta?// Pur troppo è nostra palpitante storia,/ che nessuno potrà certo annientare;/ pur troppo è nostro vanto e nostra gloria./… senza una ragione qual si sia,/ (nobil schiera di fama imperitura)/ la sede vescovil portala via?/…”.

Nulla di nuovo sotto il sole, si dice. Casualità della storia, che magari si ripete(rà) con modalità e in tempi diversi?

Salvatore Verde © RIPRODUZIONE RISERVATA


[1] Mons. Dino Tommasini (Nocera Umbra, 25 settembre 1913 – 30 luglio 1980), già vescovo di Ischia (dal 17 agosto 1962 al 23 agosto1970), fu nominato vescovo della diocesi di Anglona e Tursi nell’estate del 1970 e fu traslato nel 1974 alla diocesi di Assisi Nocera Umbra e Gualdo Tadino (dove è morto per un infarto, nel 1980).

[2] L’8 settembre 1976, per conformare i confini ecclesiastici con quelli delle regioni civili, la diocesi campana di Policastro cedette alla diocesi di Anglona-Tursi le parrocchie site in provincia di Potenza, nei comuni di Lagonegro, Latronico, Lauria, Maratea, Nemoli, Rivello e Trecchina; al contempo, le parrocchie lucane della diocesi (Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Rotonda, Viggianello e le parrocchie di Agromonte Magnano e Agromonte Mileo nel comune di Latronico) sono state cedute alla diocesi di Anglona-Tursi ed in cambio sono stati aggregati alla diocesi di Cassano i paesi dell’Alto Ionio Cosentino (Alessandria del Carretto, Amendolara, Canna, Montegiordano, Nocara, Oriolo, Rocca Imperiale e Roseto Capo Spulico). Nel corso del tempo sono state oppresse le antiche diocesi lucane del potentino, poi sedi titolari, di Grumento Nova, di Lavello e di Satriano.

[3] Salvatore Verde, Carbone: è morto don Aldo Viviano, La Siritide.it, 3 gennaio 2021 (www.lasiritide.it/article.php?articolo=15749). Don Aldo Viviano (1931-2021) è stato ordinato sacerdote a ventiquattro anni, il 15 agosto 1955 nella chiesa “San Tommaso” di Chiaromonte, suo paese natale, dall’indimenticato mons. Pasquale Quaremba, vescovo della diocesi di Anglona e Tursi. Formatosi presso il Seminario regionale interdiocesano di Potenza e nel Seminario interregionale di Salerno, il giovane prete si è laureato il 15 gennaio 1958 nella Facoltà Teologica “San Luigi” dei MM.RR.PP. Gesuiti a Posillipo di Napoli. Nello stesso anno è destinato a Carbone, dopo l’esperienza di parroco della chiesa “San Francesco” e di assistente ecclesiastico della Gioventù maschile dell’Azione Cattolica negli anni 1955-56 a Senise, dove ritornerà a lungo per insegnare Religione nell’Istituto tecnico commerciale, dal 1984 al 1996. Ma la sua vita è legata indissolubilmente alla parrocchia di San Luca Abate di Carbone (dove si sono svolti i funerali, nella mattinata del 4 gennaio) non soltanto come assistente ecclesiastico di Azione cattolica e direttore dell’Apostolato della preghiera e dell’Associazione chierichetti, oltre che presidente dell’Ente comunale di assistenza dal 1960 al 1964, ma in particolare come insegnante di Religione nella scuola media statale dal 1965 al 1996. Chiamato a dirigere l’Istituto di scienze religiose della diocesi di Tursi-Lagonegro, nella stessa istituzione il maturo don Aldo è stato docente di Storia della chiesa universale e locale dal 1988 al 1995. Caratterizzato da una avvincente scrittura piacevole, con condivisibili analisi socio-antropologiche, opinioni chiare e riflessioni acute, e da un personalissimo stile ironico, Don Aldo è stato valoroso e apprezzato autore di Penna Paese Prete (1968), Parole Pensieri Periferie (1992), Testimone nel tempo (due volumi, 2000 e 2007) e dell’opera Giornale del pulpito (Edizione “Il Serrapotimo”, Carbone, 2005 e 2008). Questi ultimi due (dei tre volumi programmati) raccolgono i suoi articoli del quotidiano di vita regionale Lucania, negli anni dal 1997 al 2000 e dal 2001 al 2004), e gran parte dei degli altri pubblicati nel corso del tempo da diversi quotidiani e periodici, dei quali è stato prestigioso e attivissimo collaboratore. Il suo rapporto con la stampa e poi anche on line, è stato sempre intenso, autorevole e puntuale, da osservatore attento e non indifferente neppure alle valutazioni politiche. Da alcuni anni scriveva per Il Quotidiano della Basilicata, con un passato anche da corrispondente del quotidiano nazionale Il Tempo, dal 1959, anno in cui ha fondato il bollettino parrocchiale La Stella di Carbone, seguito (nel 1968) dal periodico indipendente di attualità Il Serrapotamo. Presentatore di istanze locali a “Mi manda Lubrano” di Rai Tre nel 1991, nello stesso anno ha incominciato a firmare la rubrica settimanale “Il vangelo della domenica” su “Lucania – Quotidiano di vita regionale”, mantenendo costantemente attivo il rapporto con La fenice – Rivista di Informazione Arte e Cultura, sin dai primi numeri. Un grande, anche come amico straordinario.

[4] Il maestro Cristiano, all’anagrafe Vincenzo Rocco Lazzaro Cristiano (1865-1952), nel primo dei suoi due libri di poesie, Foglie secche e Note gaie (Tipografia degli Orfanelli, Tursi, 1951), nel rivolgere l’appello all’illustre mons. Bernardi, alla fine di ottobre del 1945, affinché scongiuri “sì grave errore” dello spostamento della sede episcopale, cita concretamente tutti i vescovi della diocesi dal 1849 al 1935. La stranezza della esclusione di mons. Inglese, vescovo per un decennio (1935-1945), non è l’unica, se si pensi all’altra e ben più rimarchevole esclusione, operata dal maestro e poeta nei confronti del presule. Cristiano, infatti, poco dopo la rinuncia di Inglese, per il commiato aveva scritto una lirica (il 1 ottobre 1945) che però scelse di non inserire nel libro citato (ma che compare nella II edizione del 2006, da Archivia di Rotondella, PZ).

[5] Mons. Ferdinando Bernardi (Castiglione Torinese, 10 luglio 1874 – Taranto, 18 novembre 1961). Ordinato presbitero il 29 giugno 1900,è stato nominato vescovo l’11 aprile 1931 da papa Pio XI e consacrato il 28 giugno dall’arcivescovo Angelo Bartolomasi; il21 gennaio 1935 papa Pio XI lo eleva arcivescovo di Taranto, dove muore a 87 anni. Dopo le dimissioni (del 12 settembre 1945) del frate cappuccino Lorenzo Giacomo Inglese e prima dell’arrivo (il 7 settembre 1947) di mons. Pasquale Quaremba, mons. Bernardi è stato Delegato Apostolico della diocesi di Anglona e Tursi e fece il suo ingresso ufficiale in Tursi il 28 ottobre 1945, mantenendo l’incarico per due anni, essendo la sede vacante. (s.v.)

Don Aldo Viviano

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