Il trittico del Maestro di Offida (vissuto nel XIV secolo) “Madonna con il Bambino in trono fra angeli” (scomparto centrale) con Storie del Battista e della Maddalena (nei due sportelli, rispettivamente di sinistra e di destra), opera eseguita prima del 1350 (forse nel 1340). Tempera su su tavola in legno di noce, 80 x 100 cm.
Tursi deve la sua sorprendente notorietà, ed è doveroso ribadirlo sempre, essenzialmente a quattro macro casualità del suo discreto, ma valoroso patrimonio naturale, artistico e architettonico, tutti costitutivi della sua storia ultra millenaria (non molti altri comuni lucani possono vantare altrettanto). Elenco tali elementi in ordine cronologico, con certo gerarchico: il famoso borgo denominato Rabatana, per la presenza e reminiscenza arabo-saracena (all’incirca nel periodo 850-930 d.C.); la coltivazione delle rinomate arance tursitane (importate dagli arabi, il cosiddetto “biondo comune” si insiste nel dire), sopravvissuta fino ai nostri giorni, con le attuali varianti colturali; la presenza del Santuario Basilica Minore della Madonna di Anglona (XII-XIII secolo), sull’omonimo colle tra i fiumi Agri e Sinni, a metà strada tra Tursi e Policoro, quindi a ridosso della piana di Metaponto, fulcro dell’antica Diocesi di Anglona, annotata già dal IX secolo d.C. (poi di Anglona e Tursi, a seguito del trasferimento nel 1545, e Diocesi di Tursi – Lagonegro dal 1976, con la ultima configurazione territoriale regionale); infine, ma non in ultimo, è nato qui il grande poeta Albino Felice Pierro (Tursi, 19 novembre 1916 – Roma, 23 marzo 1995, sepolto nel paese natale), che ha dato dignità letteraria al dialetto tursitano, elevandolo a lingua poetica tradotta in più di trenta lingue del mondo, più volte acclarato candidato al Nobel, tra gli anni Ottanta e Novanta.
Nel contesto ambientale (si pensi ai mai valorizzati calanchi del territorio comunale) e nel paesaggio circostante troviamo i notevoli ex conventi dei Minori Osservanti di San Francesco (XV sec.) e dei Cappuccini di San Rocco (XVI sec.), ma è soprattutto nell’ambito urbano che emergono facilmente ulteriori spunti di interesse che caratterizzano l’austera architettura nobiliare locale nel centro storico (Palazzo Brancalasso, Palazzo Camerino, Palazzo Donnaperna, Palazzo De Gerogiis-Labriola, Palazzo Ginnari-Guida, Palazzo Latronico e diversi altri); tuttavia, si collocano nell’arte religiosa le migliori e sopravvissute risorse artistiche e storico-culturali, effettive a tutt’oggi: la chiesa di San Filippo Neri (XVII secolo) con l’annesso ex convento della Congregazione dell’Oratorio, la chiesa Madonna delle Grazie (XVII sec.), e la stessa chiesa Cattedrale dell’Annunziata (XV sec., pure dopo il doppio incendio casuale dell’8 e 10/11 novembre 1988), oltre alle preziosità contenute, in particolare, nel citato santuario di Anglona, basti ricordare lo stile della struttura e il ciclo degli affreschi, assieme ai gioielli presenti nell’antica chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore (XI sec.).
Dentro quest’ultimo luogo di culto nell’antica Rabatana, infatti, sono collocati alcuni rilevanti beni artistici: il sarcofago in pietra con lo stemma di San Giorgio e la cappella funeraria della famiglia De Georgiis, con l’accoppiata presepe in pietra e sala degli affreschi, del 1547-50, opere attribuite rispettivamente e credibilmente allo scultore Altobello Persio, di Montescaglioso e molto attivo a Matera e dintorni, e al pittore Giovanni Todisco; il magnifico Crocifisso ligneo del 1400 (di autore ignoto) e il coevo portale d’ingresso, assieme a un’acquasantiera in pietra del 1518; inoltre, vanno aggiunti alcuni affreschi variamente datati (da ricordare l’enorme raffigurazione della “Battaglia di Sennacherib”, collocato sulla porta centrale d’ingresso) sui quali eccelle e si ammira soprattutto il trittico del XIV secolo, di valore assoluto, anche se rarissimamente si attribuisce ancora oggi a tale opera d’arte il “nome” del Maestro di Offida, ormai ritenuto l’autore più probabile, dopo secoli di oblio, poi di scetticismo e di recenti dubbi.
Scomparto centrale del trittico.
Proprio sul trittico e sul suo autore più accreditato mi soffermo in questa circostanza, tentando una sintesi storiografica del rapporto opera/autore. Perfino l’Intelligenza Artificiale consultata tramite il Chatbot di Bing ne offre appena un accenno, con un ritratto dubitativo:
“Il Maestro di Offida è il nome convenzionale con cui viene identificato un anonimo pittore italiano attivo tra la metà del XIV secolo e forse gli inizi del XV secolo. Il suo nome deriva dal ciclo degli affreschi nella chiesa di Santa Maria della Rocca ad Offida (Ascoli Piceno). Il Maestro di Offida dipinse in uno stile derivato da una trasposizione dell’eredità giottesca e realizzò numerose opere nelle Marche, in Abruzzo e anche in Basilicata”.
A riguardo, dunque, quasi nulla poteva dire (pp.25-27) il primo storico di Tursi, Antonio Nigro (1764ca-19 maggio 1854), medico e archeologo, autore del suo unico e celeberrimo saggio Memoria Topografica Istorica Sulla Città Di Tursi E Sull’Antica Pandosia Di Eraclea Oggi Anglona (Tipografia Di Raffaele Miranda Napoli, 1851; II Edizione ArchiviA, Rotondella, MT, 2009), in assoluto il primo libro sulla storia di Tursi. Tralascio, perché sprovvisto di pur labili basi storiche, l’abbinamento tra il trittico offidano-giottesco e la nominazione della chiesa alla Madonna dell’Icona, poiché si fa riferimento a un evidente periodo bizantino, chiaramente precedente l’arrivo della tavola nella chiesa della Rabatana (causa di non pochi infortuni editoriali, come è accaduto anche di recente con le stesse grotte sotto la collina del castello, clamorosamente ritenute antiche, pur essendo degli anni Sessanta del Novecento). A sorpresa, invece, la datazione trecentesca era già piuttosto assodata dalla tradizione di studi e conoscenze tramandate in loco praticamente da sempre.
1967 – La sedimentata acquisizione della data probabile si palesa anche nell’opuscolo della locale Scuola Elementare Statale, tra le altre notizie, si legge:
“La chiesa, situata sulla sommità dell’abitato, da semplice Parrocchia fu eretta in Collegiata Insigne di Santa Maria Maggiore dal Papa Paolo III il 20 settembre del 1546. La Cattedrale fu rifatta nel secolo XVII; questa conserva il portale quattrocentesco e, nell’interno, un trittico del secolo XIV, nel quale sono raffigurate al centro la Madonna col Bambino in trono, e a i lati scene della vita di Gesù e della stessa Vergine. Si possono ancora notare gli affreschi del secolo XIV alle pareti di una cappella della cripta” (Tursi” Ricerche e notizie raccolte dagli alunni di IV e V classe e coordinate dai rispettivi insegnanti, Anno Scolastico 1966-67, Direttore Didattico Ernesto Sandomenico, Tip. Liantonio – Matera, 1967, pag. 9).
1976-77 – Il trittico, seriamente scalfito dall’incuria e dal tempo, fu trasferito a Matera per i dovuti e meticolosi restauri, curati dalla importante storica d’arte Anna Grelle Iusco (1936-2005). La quale approntò una scheda di rilievo (in sintesi riportata successivamente da Rocco Bruno e anche qui). Non è chiaro quanto sia stato lungo il lavoro di restauro, sta di fatto che solamente dopo oltre venti anni il trittico è ritornato nell’abituale chiesa di Tursi, dopo un periodo nell’episcopio, in attesa della decisione definitiva (si pensava forse a una nuova e adeguata collocazione, anche per motivi di sicurezza e protezione).
1989-2001 – Ne accenna Rocco Bruno (Tursi, 5 gennaio 1939 – Tursi, 6 gennaio 2009), anch’egli valoroso storico tursitano della nostra contemporaneità, nella sua Storia di Tursi (Romeo Porfidio Editore, Moliterno, PZ, 1989; III Edizione aggiornata a cura di Gaetano Bruno e Gianluca Cappucci, Valentina Porfidio Editore, Moliterno, 2016) e nel volumetto La Rabatana (Stampa Grafidea, Policoro, 2001), soffermandosi sulla chiesa che ospita il trittico. Pochissimo altro si trova nella pubblicistica locale, piuttosto incline nel suo insieme a sbizzarrirsi in ipotesi inverosimili, sulle quali doverosamente non è il caso di attardarsi. Il discorso cambia dagli anni Duemila, con la diffusione delle fonti on line di facile precisazione e consultazione, anche se non tutte chiaramente attendibili, e con rinnovate pubblicazioni di ricerca e divulgazione storiografica, oltre al ritorno della tavola nella Rabatana. Il sito ufficiale del Comune di Tursi, sorto ai primi del Duemila, a cura di Nicola Crispino per i “Cenni storici”, così accenna, riferendosi alla chiesa collegiata:
“In fondo alla navatella di sinistra, la cappella del trittico trecentesco che raffigura la Vergine in trono col Bambino e scene della vita di Gesù e della stessa vergine. Il quadro si fa risalire alla scuola di Giotto ed ha un pregevole valore artistico”.
2001 – Ancora Rocco Bruno aggiunge:
“Il trittico attualmente si trova presso l’abitazione del vescovo… In questa Chiesa si venera la ‘Madonna dell’Icona’ attributo che le deriva da un trittico del trecento attribuito alla Scuola di Giotto, rappresentante la Vergine col Bambino al centro e ai lati San Giovanni Battista e la Maddalena”.
Successivamente (2001) aggiunge:
“È un dipinto su tavola delle dimensioni di cm 80 x 100 con al centro la Madonna col Bambino in trono e ai lati sei scene: il battesimo di Cristo, la nascita del Battista e la visitazione da un lato, la morte della Maddalena, la penitenza e la cena di Betania dall’altro. Secondo esperti quest’opera è stata eseguita nel XIV secolo da un autore fiorentino della scuola di Giotto. Da altri, invece, viene attribuita ad ignoto pittore pugliese. Anna Grelle Iusco che ne ha curato restauro ci dice che ‘tutto inclina ad una origine miniatoria del pittore, con una derivazione sostanziale ma non esclusiva del Maestro delle tempere francescane, su esiti di cultura Giottesca-Masiana’ (Nota 34 – Grelle Iusco A., Arte in Basilicata, rinvenimenti e restauri, Ed. De Luca, Matera, 1981, pag. 161). La stessa studiosa pensa che tale trittico in origine non fosse destinato alla Chiesa di Santa Maria Maggior, ma più probabilmente a quella di Anglona”.
Sportello di sinistra del trittico, Storie del Battista: Battesimo di Cristo, Natività di Giovanni, Visitazione.
1992 – A livello più ampio, comunque noto agli appassionati, esperti e studiosi di storia dell’arte, dagli anni Ottanta in poi si vanno assestando alcune novità storiche di primaria rilevanza che ampliano e consolidano l’orizzonte conoscitivo. Nella stesura della voce Basilicata del 1992 (nella Enciclopedia dell’arte Medievale, Treccani on line), G. Bertelli Buquicchio delinea una panoramica delle tracce artistiche in regione, tra architettura, scultura, pittura e oreficeria. Tra l’altro afferma:
“A Matera nella chiesa di S. Lucia alle Malve alcuni affreschi sono stati attribuiti al Maestro delle Tempere Francescane (Leone de Castris, 1986b), pittore di formazione giottesca ma aperto a esperienze avignonesi, cui si attribuisce, oltre a una serie nutrita di affreschi in area campana e lucana, anche il trittico con una Madonna in trono con il Bambino, il Battista e S. Giovanni Evangelista, ora all’episcopio di Tursi ma proveniente da Colobraro, dove era probabilmente giunto verso il 1230 a opera dell’Ordine francescano (Bologna, 1969; Arte in Basilicata, 1981; Leone de Castris, 1986b). Ancora ad ambiente napoletano va ascritta la tavola nella Rabatana di Tursi, del 1340, forse proveniente da Anglona, opera ‘di quel Maestro di Offida noto per aver affrescato in gran copia le chiese delle Marche e dell’Abruzzo costieri’ (Leone de Castris, 1986a, p. 501)”.
1997 – Cinque anni dopo, di S. Manacorda pubblica nella stessa Enciclopedia dell’Arte Medievale, il notevole profilo del Maestro di Offida con le attribuzioni delle opere note: “Anonimo pittore attivo nelle Marche e in Abruzzo tra il quarto e il settimo decennio del 14° secolo. Il M. di Offida trae il nome dal ciclo affrescato nella cripta della chiesa di S. Maria della Rocca a Offida (AP), già attribuito alla cerchia di Allegretto Nuzi (Van Marle, 1925) o ad Andrea da Bologna (Venturi, 1915, p. 14; Berenson, 1932, p. 11), pittore con il quale, peraltro, non è escluso che il M. di Offida abbia collaborato. Nelle pitture di Offida – che hanno per soggetti scene della Vita di s. Caterina d’Alessandria, due Madonne con il Bambino, varie figure di santi, la Crocifissione, l’Incoronazione di Maria, la Leggenda di s. Lucia – si riscontra un’inedita venatura di realismo cortese; esse si collocano tuttavia nella fase più tarda della sua produzione, nella seconda metà degli anni sessanta del 14° secolo. La formazione del pittore si svolse nelle Marche, dove egli attinse alla cultura pittorica riminese di ascendenza giottesca, diffusa lungo il versante adriatico sino all’Abruzzo meridionale… la Madonna in trono e santi, nello stesso duomo di Atri (Teramo), denuncia invece, nella cornice architettonica, nella salda struttura tridimensionale del trono e in alcune fisionomie giottesco-masiane, un secondo intervento del pittore, con ogni probabilità successivo alla metà del secolo. Spetta a Bologna e Leone de Castris (1984) l’avere individuato nel polittico nella chiesa della Rabatana a Tursi (prov. Matera) l’opera nella quale maturò la svolta in chiave masiana, a favore di una costruzione volumetrica e saldamente prospettica delle immagini, che si riscontra nella produzione del M. di Offida intorno alla metà del 14° secolo. Secondo i due studiosi, infatti, la tavola di Tursi, datata al 1340 ca., non può prescindere dagli episodi pittorici napoletani dei primi anni trenta del Trecento, la cui eco sarebbe stata colta dal pittore a contatto con esiti tangenti, come per es. la coeva produzione del Maestro delle Tempere francescane, o in seguito a un ipotetico soggiorno nella capitale angioina (Bologna, Leone de Castris, 1984, p. 291)”. (Dalla bibliografia dell’autore: F. Bologna, P. Leone de Castris, Percorso del Maestro di Offida, in Mario Rotili, Studi di storia dell’arte in memoria, Napoli 1984, I, pp. 283-305).
2000 – Il Comune di Offida dà alle stampe il libricino-guida Offida Itinerario Turistico (testi di Serena Antonelli, Media Print 2000, Grottammare, pp. 48) e certifica così le poche conoscenze sul Maestro e le attribuzioni delle relative opere d’arte, “a tale riguardo risultano di fondamentale importanza gli studi effettuati sull’argomento dall’accademico Don Giuseppe Crocetti (1918-2000)”, docente di sacra Scrittura presso l’Istituto teologico abruzzese-molisano a Chieti e l’Istituto teologico marchigiano ad Ancona. Questi fornisce illuminanti caratteri della produzione, a futura memoria, non essendoci state in seguito nuove stampe, nonostante i davvero rari e diversi dépliant turistici che, però, non vanno oltre la mera citazione del grande artista, se si esclude quello comunale e specifico di Offida Chiesa di Santa Maria della Rocca (Sec. XIV), senza aggiungere ulteriori elementi. La guida sugli itinerari offidani si sofferma sulla chiesa di Santa Maria della Rocca e (pp. 24-26) e indica:
“Tra gli artisti che hanno operato nella chiesa sono da menzionare: il Maestro di Offida, il Maestro Ugolino di Vanne da Milano e Frà Marino Angeli da S. Vittoria… Ancora è conservata una parte degli affreschi, attribuiti al Maestro di Offida, raffiguranti i cicli di S. Caterina di Alessandria, S. Lucia e diversi altri Santi e Vergini in trono. Con tale nome si vuole indicare la produzione di un artista la cui dimensione pittorica può essere ricostruita attraverso alcuni caratteri individuabili e ricorrenti in varie opere pittoriche, sparse in diverse località delle Marche, tra le quali la principale è sicuramente Offida, databili nel periodo tra il 1300 e il 1400. La critica ha cercato anche di fornire indicazioni circa la formazione artistica del Maestro di Offida e, secondo tali indicazioni, sarebbe stato un monaco che, dopo una formazione artistica derivante dalla scuola napoletana, sarebbe venuto a contatto con il pittore Andrea da Bologna ed avrebbe operato ai primi del sec. XV, in diverse zone delle Marche e in Santa Maria della Rocca ad Offida. Secondo Crocetti la caratteristica inconfondibile dei suoi dipinti è il modo singolare di eseguire le aureole, che non sono semplicemente dipinte, ma in stucco a leggero rilievo e, soprattutto, i raggi delle aureole, che sono distribuiti con regolare scansione radiale, come nell’arte di Giotto, ma sono tracciati in scansione ascensionale. È una tecnica spiccatamente personale equivalente a una firma. Altro particolare è la rappresentazione di Gesù Bambino che regge sempre in mano un uccellino, diverso tra un affresco e l’altro. Le opere attribuite al Maestro di Offida, presenti in santa Maria della Rocca sono le seguenti: Cripta > cappella abside di destra: “le storie di Santa Lucia, vergine e martire”; “Crocifissione”, “Incoronazione della Vergine”; “la Madonna della Misericordia e San Giovanni l’Evangelista”. > cappella abside di sinistra: “le Storie di Santa Caterina d’Alessandria; “l’Annunciazione”. > parete sinistra, accanto alla cappella: “la Madonna del Latte”; S. Ludovico da Tolosa”; “S. Onofrio” e “S. Stefano”. > vestibolo della cripta: “lo sposalizio mistico di S. Caterina”; “S. Cristoforo”; “la Madonna con il Bambino e due Angeli”; “S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista”; “Santa Apollonia”; “Vergine in Trono”. Chiesa Superiore > ambone di destra: “Crocifissione”; > parete destra: “Sepoltura di Gesù”.
Sportello di destra del trittico – Storie della Maddalena: Assunzione della Maddalena, la Maddalena orante nel deserto, Cena in casa del fariseo.
2001 – A partire dal 2001, con l’improvviso arrivo e l’immediato successo di Wikipedia, cambia il modo della propagazione, non soltanto nella rete globale di Internet, e della stessa ricerca con Google, con la proliferazione dei siti, ovviamente non tutti affidabili. Si adegua anche La Treccani, la più famosa enciclopedia in lingua italiana, edita a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, considerata la massima impresa editoriale italiana in ambito culturale, nonché una delle più importanti enciclopedie del XX secolo. Arriva, quindi, on line l’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti (abbreviata in Enciclopedia Italiana), comunemente nota come La Treccani, appunto. Entrambe le fonti, Wikipedia e Treccani riferiscono ovviamente del Maestro di Offida. Sia la voce Basilicata di Bertelli Buquicchio (1992) che la voce Maestro di Offida di S. Manacorda (1997), entrambi nella Enciclopedia dell’Arte Medievale, come detto, appaiono on line nel sito della Treccani (che era stato attivato nel 1996)
Dopo le brevi note biografiche, anche Wikipedia L’enciclopedia libera e collaborativa dettaglia le opere del Maestro di Offida, come autore di affreschi e di due tavole, una è proprio quella di Tursi:
<<(Offida, ? – XIV secolo) è il nome convenzionale con il quale viene identificato un anonimo pittore italiano attivo tra la metà del XIV secolo e forse gli inizi del XV secolo. Il Maestro di Offida avrebbe affiancato, da giovane il Maestro del polittico di Ascoli in un affresco con Crocifissione recentemente scoperto nell’atrio della cattedrale di Ascoli Piceno. Dalle Marche meridionali, in seguito si sarebbe spostato in Abruzzo fino in Basilicata. Un elemento distintivo che permette di riconosce le opere di questo pittore è costituito dal modo di rappresentare i raggi delle aureole dei santi. Si sarebbe trattato forse di un monaco, che avrebbe dipinto in uno stile derivato da una trasposizione dell’eredità giottesca. Opere Gli sono attribuite numerose opere, in prevalenza affreschi e solo due tavole: frammento di affresco sulla parete del coro del duomo di San Berardo a Teramo, datato forse agli anni ’40 del XIV secolo; affreschi riscoperti nel 1905 sulla controfacciata del duomo di Atri; affresco della chiesa dei Santi Salvatore e Nicola a Canzano; affresco con Crocifissione in un ambiente alla base del campanile della chiesa di Santa Maria al Chienti a Montecosaro Scalo, datato intorno al 1360; diversi affreschi nella chiesa di Santa Maria della Rocca ad Offida, tra i quali, quelli del transetto sono datati da un’iscrizione dipinta al 1367; affreschi con Annunciazione, santa Caterina e committenti e con Processione di Vergini Martiri dalle vesti bianche nel monastero delle monache benedettine di San Marco, ancora a Offida; nell’abside della chiesa di San Francesco a Montefiore dell’Aso, affreschi databili al 1350-1360; affreschi con Storie di papa Silvestro nella cripta dei Santi Vincenzo e Anastasio ad Ascoli Piceno; affresco con la Madonna del latte nella chiesa di San Tommaso ad Ascoli Piceno; affresco con scene della vita di Gesù nella Collegiata di San Michele Arcangelo a Città Sant’Angelo; tavola dipinta a tempera con Madonna in trono con Bambino, detta Madonna Nera di Costantinopoli, proveniente dalla chiesa della Santissima Annunziata di Penne e attualmente conservata nel Museo nazionale d’Abruzzo a L’Aquila; affreschi del ciclo di San Tommaso (1423-1425) nella navata destra e Giudizio Particolare o Giudizio Universale (1429) in controfacciata della chiesa di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino, oltre alle scene cristologiche e mariane (1428) nella navata destra della Chiesa in Piano a Loreto Aprutino; affreschi attribuiti alla cerchia del maestro di Offida nella chiesa di San Giovanni a Monterubbiano; trittico della Vergine col Bambino nella Chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana a Tursi in Basilicata (A. Grelle, Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, Roma 1981, pp. 40, 161-164; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Sud angioino e aragonese, Roma 1998, pp. 75-76, 87)>>.
2009 – Nel mese di giugno, un notevole contributo fu prodotto dal PIT (Progetto integrato territoriale) Metapontino, nell’ambito delle azioni di sostegno allo sviluppo locale, con i fondi del FSE – POR Basilicata 2000/2006, per la mostra “Giotto e il Trecento ‘Il più Sovrano Maestro stato in dipintura’” nel Complesso del Vittoriano a Roma, dove, appunto, fu esposta la tempera su tavola “Madonna con il Bambino in trono fra angeli”, ritenuta uno dei capolavori del Maestro di Offida, attivo nei decenni centrali del XIV secolo . L’opera fece poi ritorno, dal 2 luglio, nella sua sede abituale, la Chiesa di Santa Maria Maggiore nell’antico rione della Rabatana. Com’è ampiamente noto ormai, la tavola Madonna con il Bambino in trono fra angeli, si compone dello scomparto centrale e tre scene laterali in ciascuna delle due ante laterali: Storie del Battista: Visitazione, Natività di Giovanni, Battesimo di Cristo (sportello/anta/pala di sinistra); Storie della Maddalena: Cena in casa del fariseo, la Maddalena orante nel deserto, Assunzione della Maddalena (a destra). Data possibile, anzi probabile, intorno al 1340; tempera su tavola in legno di noce, 80 x 100 cm. Claudia D’Alberto, giovane ma dotata studiosa, offrì e pubblicò, nella circostanza del catalogo della mostra (a cura di Alessandro Tomei, edizione Skira), una serie di spunti interessanti sul piano descrittivo-analitico e critico-storico, oltre che bibliografico, anche se resta(va)no da decifrare, più che la convinta autorialità, l’origine stesa del trittico, le modalità del suo arrivo nella chiesa della Rabatana di Tursi e soprattutto la sua ragionevole datazione. Del testo prezioso ne riporto ampi stralci.
<<L’altarolo si compone di una tavola, raffigurante una Maestà fra angeli, e di due ante che, connesse per mezzo di moderne cerniere in ferro, possono girare e chiudersi, mostrando, in tal caso, una decorazione a finto marmo. Al loro interno, invece, sono impaginate Storie del Battista e della Maddalena. La cornice, il cui volume è ricavato dal ribassamento del supporto, borda di rosso e verde ognuno dei pannelli. Il manufatto è stato sottoposto a un importante restauro coordinato dalla Creile, che ha interessato l’assetto strutturale (disinfestazione, consolidamento e parziale ripristino del tessuto ligneo), la rimozione delle aggiunte successive (ridipinture, borchie e occhielli metallici) e il reintegro delle lacune emerse. Da allora non si registrano altri importanti interventi se non quelli di ordinaria manutenzione, l’ultimo risalente al 2002 (Il Museo nazionale 2003), Esposto alla mostra “Arte in Basilicata” quale testimonianza tardo trecentesca di anonimo pittore pugliese, formatosi all’orizzonte della cultura giottesco-masiana del Maestro delle Tempere francescane, è stato poi ricondotto a quel flusso adriatico che a partire dagli anni quaranta del Trecento spiega la presenza, in Terra di Lavoro e nell’area lucano-cilentina, di componenti riminesi e marchigiane, sia pure mediate dal modello angioino del giottismo masiano. Proprio prendendo le mosse dall’altarolo di Tursi, Bologna e Leone de Castris hanno individuato nell’autore, il cosiddetto Maestro di Offida (o il presunto Luca d’Atri secondo la ricostruzione di Leone de Castris), uno dei più importanti rappresentanti di questa temperie artistica. L’opera, successiva agli esordi in area teramana e alla prima attività nel duomo di Atri (Leone de Castris, 2001, con bibliografia precedente), è dibattuta sia da un punto di vista cronologico – la datazione oscilla, infatti, fra il quinto e l’ultimo decennio del XIV secolo (Crocetti 1991; Tartuferi 2000) – che attributivo (Papetti 1988; Crocetti 1991; Tartuferi 2000). Di certo esemplifica uno snodo rilevante nella carriera dell’artista, che qui stempera in chiave masiana le inflessioni riminesi peculiari della sua formazione (si veda in tal senso anche il ciclo pittorico della chiesa di San Domenico a Teramo recentemente assegnato al maestro da Leone de Castris in Teramo 2006a). Esse sopravvivono, tuttavia, in corrispondenza dei cicli agiografici, ove la vivacità cromatica e illustrativa, il plasticismo sommario ma efficace rimandano al Maestro del Carmine di Urbania e al Maestro del Polittico di Ascoli. La saldezza degli impianti prospettici, la resa fisionomica dei volti e l’espansione monumentale della Maestà rivelano più da vicino l’aggiornamento masiano…
Dopo Tursi, dunque, il Maestro di Offida conquista un ruolo trainante nello sviluppo della civiltà giottesca di seconda generazione in territorio piceno (Neri Lusanna,1995; Papetti, 2004). Le matrici che produssero tali esiti sono state rintracciate negli episodi pittorici napoletani dei primi anni trenta del Trecento, con i quali egli entrò in contatto o attraverso il Maestro delle Tempere francescane o in seguito a un ipotetico soggiorno nella capitale angioina (Bologna, Leone de Castris); ostacola lo scioglimento dell’empasse pure la dubbia provenienza dell’altarolo, entrato a far parte dell’arredo liturgico della cinquecentesca Rabatana in circostanze ignote. Alle ipotesi localistiche che lo legano alla cattedrale di Anglona si oppongono quelle che ne rintracciano l’origine nelle aree di maggior concentramento della sua produzione, ovverosia tra Marche e Abruzzo (Crocetti 1991). In ogni caso si tenta di individuare plausibili rotte di discesa verso sud, o dell’opera o dell’artista, sulla scia dei flussi religiosi premostratensi e mendicanti.
Nel regno angioino-durazzesco il trittico di Tursi si inserisce, d’altronde, in un coerente milieu figurativo di importazione che ha nei prodotti di Paolo Serafini, di Jacobello di Bonomo, nel programma pittorico di San Leo a Bitonto e nella Crocifissione del San Nicola di Bari i suoi numeri più importanti; affiora in particolare il legame con la Maestà del Seminario di Moffetta ritenuta a ragione “simile quanto più non si potrebbe alle cose del maestro marchigiano-riminese di Offida” (Leone de Castris, 1995; Lorusso Romito, 2000; Papetti, 2000). Senza, però, spingersi ad ammettere un itinerario così geograficamente diramato del nostro pittore, la componente fiorentino-masiana potrebbe derivare da Allegretto Nuzi, con il quale condivide le espanse volumetrie, i profili aguzzi e in particolare la sintesi prospettica degli spazi (Neri Lusanna in La pittura in Italia 1986, p. 420; Crocetti 1991). La cronologia mediana e le sigle stilistiche qualificano, dunque, il trittico lucano quale numero cruciale del catalogo del Maestro di Offida perché espressione della risonanza che la cultura artistica marchigiana ebbe lungo la dorsale adriatica e perché cerniera tra gli anni giovanili, improntati a una meditazione su modelli trecenteschi, e le prime aperture tardogotiche che evidenti in Santa Maria della Rocca a Offida diventano qualificanti nel programma pittorico del sacello di Sant’Eustachio presso la chiesa di San Vittore ad Ascoli Piceno. Claudia D’Alberto. (Dalla bibliografia dell’autrice: Bologna, Studi di storia dell’arte, 1962; Crocetti, Aspetti e problemi, 1982; Bologna, Leone de Castris in Studi di storia dell’arte, 1984; Bologna, La Valle del Medio, 1986; Leone de Castris in Pittura murale, 1995; Lorusso Romito, Adriatico, 2000; Papetti, Le vie e la civiltà, 2000; Leone de Castris in Dalla valle del Piomba, 2001; Creile in Arte in Basilicata 1981, pp. 40, 162-164; v. anche ediz. anast. 2001; Papetti, Atlante del gotico, 2004; Leone de Castris, Teramo e la Valle, 2006).
2011 – Nei primi tre giorni di dicembre, si è svolto ad Ascoli Piceno il Convegno “Civiltà urbana e committenze artistiche al tempo del Maestro di Offida (secoli XIV – XV)”, che ha riunito il gotha della medievistica internazionale. L’accademico Stefano Papetti, docente di Museologia all’Università di Camerino e Conservatore delle collezioni comunali di Ascoli Piceno, nel presentare l’evento sulla stampa (Stefano Papetti, La ricerca dell’identità, da Offida ad Atri Le tracce di un prolifico artista celebre al pari di Giotto, Il Giornale.it, 1 dicembre 2011), ha scritto un articolo di grande efficacia, riferendosi anche al trittico di Tursi. In pratica:
<<Una folta compagine di artisti anonimi, spesso ben riconoscibili nella loro identità stilistica, tale da consentire di riunire varie opere affini sotto nomi convenzionali, coniati sulla base del luogo di attività del maestro o delle caratteristiche più tipiche delle immagini da lui prodotte. Roberto Longhi e Federico Zeri, maestri nel campo dell’indagine filologica, sono stati fra i più prolifici inventori di nomi convenzionali ancora oggi in uso, a meno che le ricerche d’archivio non abbiano consentito di sciogliere l’anonimato, attribuendo una identità certa all’artista in questione. Nell’area di confine fra le Marche e l’Abruzzo, a cavallo fra lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli, si incontrano nelle imponenti chiese gotiche i segni di una straordinaria produzione figurativa, animata dal fervore degli ordini religiosi che nel Trecento fecero a gara per ornare le loro chiese di cicli pittorici: i Francescani, i Domenicani, gli Agostiniani, i Farfensi (Benedettini, nda), spesso economicamente sostenuti dai notabili del luogo, ingaggiarono maestranze locali e forestiere capaci di declinare gli eventi suggeriti dalla devozione locale con un linguaggio di facile presa comunicativa. E proprio da uno di questi suggestivi edifici gotici, la chiesa di santa Maria delle Rocca ad Offida in provincia di Ascoli Piceno, può prendere avvio il nostro percorso alla ricerca di una identità perduta, quella del misterioso autore degli affreschi trecenteschi che ornano le pareti della monumentale prepositura farfense… Fra la selva di colonne in laterizio che popolano la grande cripta della chiesa offidana si aprono due cappelline affrescate con le storie di santa Lucia e di santa Caterina d’Alessandria, che costituiscono una delle più complete rappresentazioni della vita delle due sante secondo la tradizione agiografica divulgata dalla Leggenda Aurea. Riferite inizialmente ad Allegretto Nuzi e successivamente alla scuola di Andrea da Bologna, le storie in oggetto sono state assunte da Ferdinando Bologna come riferimento eponimo per ricostruire l’attività di un anonimo maestro attivo fra la prima e la seconda metà del XIV secolo nelle Marche meridionali e nell’Abruzzo teramano… Il ciclo di Offida è databile fra il 1360 e il 1367, come si evince da un documento recentemente collegato alla commissione degli affreschi da parte del priore Marino Armanduzi: lo stile del maestro appare a questa data già compiutamente definito e si ravvisa una inclinazione a narrare in modo ricco e dettagliato, indugiando nella descrizione degli abiti sontuosi indossati dai protagonisti, secondo uno spirito già orientato verso il tipico eloquio protocortese che caratterizza anche altre impegnative prove dell’artista… Molto nutrito è il numero di opere attribuito al Maestro di Offida nei territori del vicino Abruzzo grazie agli studi di Ferdinando Bologna e di Pier Luigi Leone de Castris che hanno contribuito a chiarire lo stile dell’artista e la sua evoluzione nel tempo attraverso un serrato confronto fra i dipinti murali e le poche opere su tavola che gli vengono riferite, queste ultime giunte sino in Basilicata, a Tursi, dove nella chiesa di santa Maria della Rabatana si conserva un trittico portatile assai prossimo ai modi dell’anonimo maestro. Proprio l’estensione e la qualità delle sue opere induce a cercare il vero nome del Maestro di Offida la cui nascita, stando alla presenza prevalente dei suoi affreschi, dovrebbe essere collocata nelle Marche meridionali o in Abruzzo ed appare particolarmente suggestiva l’ipotesi avanzata dal Leone de Castris che propone di identificare l’artista con il celebre pittore Luca d’Atri, maestro assai celebrato nella città abruzzese. Luca da Penne lo ricorda come pittore eccelso del suo tempo al pari di Giotto e la presenza di numerosi affreschi riferiti in passato al Maestro di Offida tanto nella Cattedrale di Atri quanto in centri vicini sembra avvalorare l’ipotesi di chiamare con il nome di Luca da Atri l’anonimo frescante sin qui ricordato con il toponimo della città marchigiana>>.
2020 – Nella ricostruzione della panoramica storica sui centri di assistenza e per infermi a Tursi, mi è capitato di scrivere: “Ai primi decenni del XIV secolo risale il famoso Trittico della cosiddetta Scuola Napoletana di Giotto, per alcuni del Maestro di Offida (vissuto, probabilmente, anche nella seconda metà di tale secolo), collocato nella chiesa della Rabatana. L’opera d’arte intitolata “Madonna/Vergine col Bambino”, nelle due pale laterali ricorda S. Giovanni Battista e la Maddalena, perciò ritengo non casuale l’esistenza, nella cripta della chiesa, un altare, la stessa cappella dedicata alla Maddalena e l’ospedale con il suo nome. Che ci sia un collegamento con la struttura di accoglienza, conforto e cura di epoca successiva (al trittico) è tutto da dimostrare, ma sicuramente indica un percorso antecedente che va molto approfondito”. (Salvatore Verde, Quando a Tursi c’era l’ospedale, al tempo della peste del 1656-1658, ma anche prima e dopo, Tursitani.it, 19 maggio 2020).
2005 – Durante la breve visita di Vittorio Sgarbi a Matera, Bernalda, Metaponto, Senise, Valsinni e Tursi, in compagnia di giovani allievi e studenti e di Giuseppe Barile, editore di Irsina e titolare delle Edizioni La Bautta di Matera, il grande critico e storico dell’arte ha chiesto della Rabatana e poi del Santuario di Anglona Basilica Minore. Riporto dall’articolo: <<“Si avanza nella chiesa di Santa Maria Maggiore dell’XI secolo: il portale è ‘carino’, l’interno ‘ben conservato’ e le luci ‘finalmente adeguate’. Davanti al Trittico del Trecento, della Scuola napoletana di Giotto, invita i giovani ad approssimarsi di più e commenta: ‘È incredibile trovarne uno così da queste parti, anzi ce n’era un altro…’. Provo a indicargli il Crocifisso ligneo del ‘500, ma con prontezza aggiunge: ‘È del Quattrocento’. Scendiamo nella cripta funeraria dei De Georgiis, ‘davvero una meraviglia della metà del XVI secolo’, dice, con il presepe in pietra “è di Altobello Persio’ e i numerosi affreschi. Poi si congeda: ‘Tutto straordinario, Tursi è un piccolo gioiello, nella parte antica conservata, ordinato, merita senza dubbio>>. (Vittorio Sgarbi nel Materano, Tursitani.it, 16 novembre 2005)
2007 – In questo anno svolsi una proficua attività promozionale tramite e interamente a carico del bimestrale Tursitani, con il gradimento del Comune di Tursi, sindaco Salvatore Caputo, e di mons. Francescantonio Nolè, vescovo della Diocesi di Tursi-Lagonegro, che portò alla stampa di 5.000 cartoline con l’ottima riproduzione dell’immagine offidana, curata personalmente e con Leandro D. Verde, tutte donate alle suore della chiesa Collegiata della Rabatana, a suor Pacifica e suor Celeste, la madre superiora, da distribuire, come avvenne, ai crescenti visitatori. Il successo fu immediato e straordinario.
2022 – In quel periodo, alcuni avevano notato la mancanza del trittico nella sua sede abituale, ma il dubbio si è subito chiarito. Il trittico è stato a Forlì, nelle sale dei Musei San Domenico, ospite della importantissima mostra dal titolo “Maddalena. Il mistero e l’immagine”, curata da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca e Paola Refice, dal 27 marzo al 10 luglio 2022. Le pregevoli opere in esposizione, che riunisce oltre 200 capolavori di grandi artisti dal III sec. a.C. al Novecento, “indagano sul mistero irrisolto, che ancora inquieta e affascina, di Maria Maddalena: una figura che emerge dal profondo della nostra storia, una donna misteriosa e a lungo travisata”. Tra le opere in mostra, che contiene straordinari esempi di pittura, scultura, miniature, arazzi, argenti e opere grafiche. Il prestigioso comitato scientifico della grandissima mostra è presieduto da Antonio Paolucci, il trittico tursitano è l’unica opera della Basilicata; inoltre, lo scorso 16 maggio, tale mostra è stata ospite del programma di Rai 3 “Le Parole”. Secondo alcuni autorevoli esperti, il trittico della Rabatana di Tursi è attribuibile alla Scuola napoletana di Giotto (al massimo nei primi decenni del 1300), mentre per altri studiosi (A. Grelle, F. Abbate) si ascrive al cosiddetto Maestro di Offida (forse un frate delle Marche, spostatosi poi in Abruzzo e nel meridione fino in Basilicata, attivo, con dubbia autenticità anagrafica, dal 1340 circa agli inizi del XV secolo, forse al 1429, tant’è che la Treccani lo delimita all’incirca nel periodo 1340-1370). (Salvatore Verde, Il trittico “Madonna col Bambino” della Rabatana di Tursi si trova a Forlì ospite della grande mostra dedicata a Maria Maddalena, fino a luglio, Tursitani.it, 2 giugno 2022).
Particolare del riquadro centrale del trittico: si notino le tre citate caratteristiche offidane, quasi una firma dell’autore (aureola della Madonna, uccellino in mano al Bambino e trono con prospettiva).
2023 – Una fortunata casualità, nello scorso mese di aprile, mi ha consentito di visitare con la famiglia alcune località delle Marche, in particolare Vasto, Ascoli Piceno, Fano, Marotta, Pesaro e Offida. Proprio nella patria del Maestro di Offida ho cercato eventuali novità, se ve ne fossero state. In effetti, il tempo non passa invano, per nessuno, e si lavora sempre con le certezze ultime del tempo e acquisite sul campo, quando e se possibile. Se è vero che tutti i contattati (una decina in tutto, tra le quali due guide turistiche, l’edicolante, una bibliotecaria, l’addetta del Museo, la responsabile dell’ufficio informazioni turistiche e culturali), ignoravano la discesa in Basilicata del Maestro di Offida e l’esistenza del trittico tursitano, è pur vero che la relativamente nuova pubblicistica in loco si è adeguata alle nuove risultanze storiche e artistiche, almeno degli ultimi venti anni e poco più, aggiornando la relativa diffusione, assai parca di riferimenti al Maestro, celebrata gloria offidana ma di nicchia. Dalla breve indagine, alcune cose interessanti sono emerse e riferite con nettezza dai testi disponibili. Per il famoso storico dell’arte Stefano Papetti, la vera identità del Maestro sarebbe attribuibile a Fra’ Meliucci di Giovanni, del quale comunque si hanno altrettanto scarsissime informazioni; si tratta assai probabilmente di un monaco (benedettino/domenicano), che per umiltà non firmava le sue opere con la scrittura o sigle, ma sempre e soltanto con la sua stessa arte, pittorica appunto; lo stile, noto come scuola riminese, tipico della regione lungo la costa fino all’Abruzzo, è caratterizzato da realismo cortigiano, influenzato principalmente dalla scuola di Giotto, contro la rigidità della scuola bizantina. Non avendo una memoria visiva dettagliatissima del trittico, mi sono limitato all’ascolto della generalità dell’insieme, in pratica senza utile dialogo o contraddittorio. Rientrato a Tursi tre giorni dopo, ho voluto rivitalizzare i ricordi, confrontandomi con Francesco Silvio Di Gregorio, architetto e direttore incaricato del nascente Museo Diocesano, in merito ad alcuni particolari della tavola del Maestro di Offida. Ricevuta la conferma, a quel punto la mia nota dubbiosità è sembrata dissolversi, mentre avanza tuttora la convinzione ragionata grazie proprio alle poche certezze che si hanno oggi sia sul trittico che sul Maestro di Offida, pur accettando che l’identità dell’artista resti ancora avvolta in un sostanziale alone di mistero.
CONCLUSIONI
Si può ragionevolmente affermare che il trittico risalga sicuramente alla prima metà del 1300, forse antecedente al 1340, e che il Maestro di Offida sia vissuto interamente nello stesso secolo. Sull’attribuzione di paternità, sono di fondamentale importanza le imprescindibili analisi comparative delle opere e dello stile dell’autore effettuate dagli studiosi specialisti e in particolare, sostanzialmente, Ferdinando Bologna, Pier Luigi Leone de Castris e Giuseppe Crocetti. Si giunge alla conclusione che uno dei modi in cui è possibile identificare l’opera del Maestro è lo stile unico di dipingere l’aureola, a rilievo (per un periodo?) e con i raggi che emanano dalle aureole dei santi, e la raffigurazione di un uccellino nelle mani di Gesù Bambino. “Secondo Crocetti, infatti, la caratteristica inconfondibile dei suoi dipinti è il modo singolare di eseguire le aureole, che non sono semplicemente dipinte, ma in stucco a leggero rilievo e, soprattutto, i raggi delle aureole, che sono distribuiti con regolare scansione radiale, come nell’arte di Giotto, ma sono tracciati in scansione ascensionale. È una tecnica spiccatamente personale equivalente a una firma. Altro particolare è la rappresentazione di Gesù Bambino che regge sempre in mano un uccellino, diverso tra un affresco e l’altro”. Al contempo, S. Manacorda nelle attribuzioni delle opere note, aveva sottolineato: “la Madonna in trono e santi, nello stesso duomo di Atri (Teramo), denuncia invece, nella cornice architettonica, nella salda struttura tridimensionale del trono e in alcune fisionomie giottesco-masiane, un secondo intervento del pittore, con ogni probabilità successivo alla metà del secolo”.
Resta del tutto insoluto il problema della committenza e della conseguente collocazione primigenia. Schematizzando al massimo: perché il Maestro di Offida venne in Basilicata? Chiamato da chi? La tavola era destinata a quale chiesa o convento? Perché fu portata e da quando nella chiesa della Rabatana (elevata a collegiata insigne solo nel 1546 da papa Paolo III)? Si possono avanzare solo alcune ipotesi possibili, anche se resta da dimostrare che siano anche probabili. Intanto, si può storicamente ipotizzare che fosse la Diocesi di Anglona ad avere una capacità di attrazione, nella sua dimensione urbana, ecclesiastica e feudale, di sicuro più potente della chiesa della Rabatana, dove si venerava il culto della Madonna della Cona/Icone, forse di origine bizantina. Nel 1369, il piccolo abitato (con 270 anime nel 1277, mentre erano 1500 a Tursi) sull’omonimo colle di Anglona, già ridotto a mero casale spopolato, fu distrutto totalmente (in una lettera del 30 luglio 1369, la regina Giovanna I di Napoli ordinava al vescovo Filippo di provvedere alla ricostruzione) a causa di un incendio devastante; mentre non è chiaro l’addebito del grave danneggiamento e il crollo della parete nord dello stesso santuario di Anglona (XI-XII secolo, come sviluppo di un’antica chiesetta del VI-VIII secolo, oggi cappella dell’Oratorio). Alcuni studiosi (Ughelli, 1702; Ughelli-Coleti,1720; Martucci, 1790) ritengono che la distruzione sia stata fomentata dai pochi ma potenti nobili della vicina Tursi, padroni di vaste terre ma incolte, perciò in lotta con il potere del vescovado nelle sue articolazioni, questi di fatto proprietario di gran parte del territorio fertile. Comunque sia, eventualmente, seguendo la cronologia ormai consolidata, il trittico doveva già essere in sede in tale anno e quindi spostato per essere messo in sicurezza. I lavori di ristrutturazione potrebbero aver stravolto, mimetizzato e reso non più riconoscibile l’allora posizionamento della tavola all’interno del santuario. Non in ultimo, occorre considerare che la stabile collocazione del trittico in una nicchia sull’altare laterale della chiesa di Santa Maria Maggiore (del X-XI secolo) può essere avvenuto soltanto dopo la chiusura della seconda scala che consentiva uno dei due passaggi per l’accesso nella catacomba, in pratica ben dopo il 1500. Altre pur labili tracce di possibili collegamenti con i vescovi di Anglona del tempo non se ne ravvisano e non aggiungono nulla, per ora.
Salvatore Verde ©
L’autore durante il viaggio a Offida (AP), aprile 2023.
Santa Maria della Rocca di Offida.
Basilica della Santissima Annunziata – Montecosaro – Maestro_di_Offida.