Storia di un vedovo poi arcidiacono della Cattedrale di Tursi e di una carestia biblica causata dall’invasione di bruchi. Due riferimenti nel libro del 1600 di Giorgio Toscano, che introduce anche la storia della famiglia Andreassi (1)

Storia di Tursi

Devo a Sabina Vitale lo stimolo ad approfondire la ricerca tra i suoi antenati e il collegamento con Tursi, avendomi donato del materiale scritto dal suo avo, l’avvocato Giorgio Toscano, di Oriolo, nipote di Vespasiano Andreasso, questi capostipite della famiglia nella Città di Tursi.  

Giorgio Toscano è autore di un prezioso memoriale, trascritto, stampato e pubblicato postumo. Il volumetto (così lui lo definì) è disponibile con il titolo Memorie di famiglia. Genealogie e cronache calabresi in Giorgio Toscano( Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996), nella collana Quaderni di Storia del Mezzogiorno, n. 12, a cura di Pina Basile, dell’Università degli studi di Salerno, cattedre di Filologia dantesca e Letteratura umanistica: “I fatti narrati si snodano tra genealogia, cronaca e cultura materiale, tra stemmi araldici e stampe d’epoca. La memoria di famiglia, scorrendo attraverso uomini e cose, famiglie e vicende, aggiunge un tassello non secondario alla storia e alla cultura della Calabria, fornendo un ulteriore contributo alla determinazione della sua entità”. La curatrice aveva già pubblicato La storia di Oriolo di G. Toscano (Roma, 1985), ma, non ha potuto rintracciare gli altri testi, “nonostante accurate ricerche”, un Poemetto in versi eroici  e le Allegazioni giuridiche.

Il Toscano sente legato alla sua famiglia di intellettuale anche il destino della sua Terra, sulla quale imperversano sia ‘le prepotenze’, sia le calamità, le pestilenze, ‘le cavallette’: le prime, certamente a giudizio dell’Autore, più dannose delle ultime… – scrive Pina Basile -. Il Toscano fu, insomma, il tipico giureconsulto del paese, che esercitava con amore e coscienza il proprio lavoro  di legale, ma senza disdegnare, nei momenti di riposo, di concedersi dei ‘levamina mentis’ caratteristici delle persone colte di quell’età, mediante timide o più audaci incursioni nel tempio delle Muse o con accurate ricerche nel campo delle memorie patrie… il tutto seppe esporre in uno stile agile, interessante, dilettevole alla lettura, soffermandosi con commossa partecipazione di uomo e di cittadino sui momenti più tristi della storia narrata”. Nel libro sono davvero molti e precisi i riferimenti a Tursi e alle famiglie tursitane, con le quali vi erano legami, affetti e interessi, per matrimoni ed eredità: Palumbo, Picolla, Andreasso, Valicento, d’Aloisio, Pasca, Basile, Quaranta, Mazzeo, d’Alessio, d’Elia, Panevino, Camerino, Donnaperna, Caputi, Quinto, Brancalasso, Siderio, de Virgiliiis, Formica (di Aliano), Molfese (di Sant’Arcangelo).

Nato forse nel 1630, Giorgio Toscano era il settimo figlio di Virginia Andreasso e del Dr Pietr’Antonio Toscano (? – 1650), che di figli ne aveva già procreati ben 17. Delle sette femmine una sola era morta, mentre i dieci maschi morirono tutti prima dei quattro anni. Da queste tragedie l’invocazione della protezione di S. Giorgio, il patrono, e la decisione di Pietr’Antonio di imporre il nome del Santo al 18° figlio. Il giovane era da poco a Napoli, partì esattamente il 4 novembre 1649, per intraprendere gli studi della Legal Scienza, quando, un paio di mesi dopo, ebbe la notizia della morte del padre, oppresso dall’infermità di pontura; Giorgio non interruppe gli studi solo perché il fraterno cugino Francesco Antonio Andreasso lo persuase  a trattenersi e a proseguire. Si laureò in Giurisprudenza a Napoli il 24 luglio 1653, “nell’almo Collegio, sotto il cancelliere del Regno Don Francesco Marino Caracciolo principe d’Avellino”. Il successivo 26 dicembre rientrò definitivamente a Oriolo (CS), suo paese di origine, dove si stabilì e divenne poi Governatore, Giudice e Agente generale della sua terra.

A novembre del 1658, Giorgio Toscano sposò Cecilia Freggi, prima figlia di Rosina La Canna e del Dr Francesco Antonio Freggi, entrambi abitanti di Casalnuovo (l’attuale Villapiana, Leutermia al tempo della Magna Grcia), ma il Freggi, già marito e vedovo di Porsia Toscano (sorella di Giorgio) era di Cassano, figlio del Dr Francesco Lucio Freggi, famiglia nobilissima dipendente da Milano; Rosina e Francesco ebbero almeno altri quattro figli: Quinzia, Fulvia, Diana e Lucio. Il matrimonio di Toscano con Cecilia durò appena undici mesi, perché a ottobre del 1659 lei morì di parto con il nascituro. Consigliato dall’amatissimo zio Vespasiano Andreasso, fratello della madre Virginia Andreasso, il quale risiedeva a Tursi, Giorgio decise di sposare in seconde nozze, a giugno del 1660, la tursitana Grazia Coperta, seconda figlia di Lucrezia Picolla e di Giambattista Coperta (la primogenita Regina Coperta si maritò poi con Francescantonio Panevino). Grazia Coperta e Toscano, che si trattenne a Tursi per due anni, “per la gravidanza e per altre ragioni”, ebbero otto figli: Pietrantonio (Tursi, 17 marzo 1661 – ?), Virginia (Tursi, 02 maggio 1662 – ?), Lucrezia (Oriolo, 12 giugno 1664-?), Giambattista (Oriolo, 9 settembre 1666 – deceduto dopo sei mesi), Regina (Oriolo, 12 agosto 1667-?), Francesco (Oriolo, 19 aprile 1670 -?), Agnesa (Oriolo, 5 maggio 1671 o 6 aprile 1671- ?), Giambattista (Oriolo, 6 maggio 1672-?).

Giambattista Coperta era il sesto figlio di Regina Bianca e Orazio Coperta, entrambi tursitani. Orazio era giudice  a Tursi nel 1601, scrive lo storico tursitano Rocco Bruno (Le famiglie di Tursi, 1989). Lo zio di Giambattista, Don Gio: Domenico Coperta, canonico della Cattedrale, fondò in tale chiesa la cappella di S. Silvestro con jus patronato perpetuo in beneficio di suo fratello Orazio, come da istrumento di dotazione e fondazione stipulato il 14 novembre 1620 dal notaio Giuseppe di Salvatore, “e che il cappellano sia sempre uno della famiglia d’esso costituente, discendente dal detto Orazio suo fratello di linea mascolina, ed in difetto, di linea femminina…”. Orazio Coperta e Regina Bianco ebbero non meno di sette figli: Florimenda, Antonia, Isabella, Vittoria, Lucrezia, Gio: Battista, Francesco Coperta. La famiglia si estinse con Giambattista Coperta, che rimase vedovo e “s’applicò allo stato ecclesiastico e fatto sacerdote, per la sua abilità fu assunto alla dignità dell’arcidiaconato di quella Cattedrale, e più volte fu eletto e fatto vicario, così generale delle Vescovi, che pro tempore sono stati nella Diocesi di Tursi ed Anglona; come Capitolare nella loro morte o mancanze, qual ufficio per molti e molti anni esercitò con grandissimo decoro (si riferisce alla vacatio, dal 26 novembre 1653 al  1° giugno 1654,determinata dalla morte di mons. Flavio Galletti e fino all’arrivo di mons. Francesco Antonio de Luca, poi dalla traslazione di questi ad arcivescovo titolare di Nazareth, il 7 febbraio 1667, all’insediamento di mons. Matteo Cosentino, 3 ottobre 1667, ndA), alla fine oppresso dal maligno morbo ed in età ben matura nel mese d’agosto del 1671 pagò alla comune madre il tributo”.

Nel 1661 il Toscano fu anche testimone di “un caso ben degno di memoria, e da non passarsi in silenzio per soddisfare la curiosità de’ posteri, e fu il secondo flagello, che Dio suol mandare in ncastigo della contumacia de’ peccatori ribelli; si è discorso sopra del crudel mostro della peste; conviene qui ragionare dell’arrabbiata fiera della fame, cagionata dall’irreparabile danno inferito nelle biade dalla voracità d’innumerabili stuoli di bruchi e locuste, come vogliam dire, o per dir meglio strumenti dell’ira di Dio; poiché nelle ali di questi animaletti ben si discernono alcune lettere, che dicono Ira Dei. Dunque, dalla marina d’oriente si vide annuvolato il cielo non da nubbi de’ vapore delle acque ed esalazioni della terra… ma di stuoli innumerabili ed incomprensibili di volatili bruchi, che trapassando il mare venivano a devastare e divorare le delizie della terra… si vide oscurato il sole non dall’eclissi della luna, ma dall’affollato e sorvolante stuolo di animalucci cotanto nocivi ed odiosi; che per più ore intiere occupavano la serenità dell’aere e rubavano al sole; durò più giorni lo sbarco”. La terribile carestia del tempo fu un evento catastrofico paragonato quasi alla peste di pochi anni prima (1656-1658), per l’intensità del terrore e per le devastanti conseguenze immediate, con la distruzione totale delle coltivazioni, di fiori, piante, foglie, i frutti, gli orti, le dorate spiche di ogni genere di biade e i pampini delle viti con le uve delle vigne,  senza ignorare gli effetti duraturi nei risvolti magico-religiosi dell’epoca.

Salvatore Verde

Giorgio Toscano scrive di sé: <<Nell’anno 1653 sotto il dì 24 di luglio nell’almo Collegio di Napoli ottenni la dignità del Dottorato, sotto il cancelliere del Regno Don Francesco Marino Caracciolo principe d’Avellino, essendo Promagno Cancellario il Sig.r Don Antonio Caracciolo marchese di S. Sebastiano, Reggente del Collateral Consiglio, come dal mio privilegio in detta data e nell’istesso anno nel mese di dicembre mi esposi al pubblico esame tenuto dalla Regia Giunta d’approvazione, che furono il Sig.r marchese della Torella, Sig.r Ettore Capecelatro, il Sig.r Consigliere Tommaso d’Aquino e il Sig.r Presidente Pisanelli, da quali fui approvato. Dal che disbrigato mi partii da Napoli non senza gran dispiacere del detto Sig.r Andreasso (Francesco Antonio, n.d.A.), che voleva trattenermi seco ed applicarmi a que’ Tribunali; non essendomi permesso dalle avversità di mia fortuna, mi portai nelle miserie della padria, ove giunsi sotto il 26 dicembre del 1653>>. E aggiunge: << “Volli tentare la fortuna di passare a seconde nozze, come seguì nel mese di giugno a persuasione del D.r Vespasiano Andreasso mio amatissimo zio, il quale si prese l’assunto di trattare nella città di Tursi (ove egli dimorava) con Grazia Coperta, figlia di Giambattista Coperta, il quale essendo stato prima casato con Lucrezia Picolla, gentildonna principale della medesima città, n’ebbe da detto matrimonio due figliole, una fu Regina Coperta maritata con Francescantonio Panevino; e la seconda fu la detta Grazia Coperta mia moglie; ed essendo da pochi anni passata da questa a miglior vita l’accennata Lucrezia madre di mia moglie, il D.r Giambattista Coperta suo marito s’applicò allo stato chiesastico e fatto sacerdote, per la sua abilità fu assunto alla dignità dell’arcidiaconato di quella Cattedrale, e più volte fu eletto e fatto vicario, così generale delli Vescovi, che pro tempore sono stati nella Diocesi di Tursi ed Anglona; come Capitolare nella loro morte o mancanze, qual ufficio per molti e molti anni esercitò con grandissimo decoro, alla fine oppresso da maligno morbo ed in età ben matura nel mese d’agosto 1671 pagò alla comune madre il tributo. Passai a seconde nozze con Grazia Coperta di Tursi, nel mese di giugno 1659 (o 1660? ndA), e fui da Dio consolato con feconda prole, posciacché dopo nove mesi di matrimonio diede alla luce li seguenti figli e figlie, e nella città di Tursi partorì il primo, a cui fu imposto il nome di mio padre: – Virginia Toscano, nata in Tursi a 2 maggio 1662 (a gennaio del 1683 sposa Francesco/Francescantonio Basile[1]). Dopo che fui casato con Grazia, in occasione della gravidanza e per altre cagioni mi trattenni per due anni in detta città di Tursi senza abbandonare però questa casa, che veniva a rivedere spesso ed assistere a questi…>>.


Nel tratteggiare il profilo della figlia monaca Agnesa Toscano (nata il 5 maggio 1671), il padre Giorgio Toscano ci offre altre notizie su Tursi: <<Mia 6a figlia, da che fu figliola dimostrò sempre spiriti applicati a servire Dio e la beatissima Vergine in qualche chiostro di Religione e come che il Sig.r Presidente della regia Cam.a D.r Francescantonio Andreasso mio cugino, dopo la morte del D.r Vespasiano suo padre, il quale aveva lasciata in Tursi tutta la sua facoltà di stabili di non poca considerazione, e precise d’un bellissimo e commodo palazzo di più e diversi membri, con quantità di territorj, tutti aratorii, e precise a bombace, cg’è la maggiore industria di quel paese, vigne ed altre possessioni fruttifere e vedendosi allora destituito di figli con la prima moglie, si risolse di lasciare in quella città, sua natia patria, una perpetua memoria, e fu di formare per allora un divotissimo Conservatorio di Verginelle, sotto la protezione del Glorioso Patriarca s. Domenico; onde a sue proprie spese fece ridurre l’accennato suo palazzo a forma e modello di convento, con le abitazioni di tante celle, chiostri e commoda chiesa, e li cedè ed assegnò per dote tutti li accennati suoi stabili e possessioni, che possedeva in quella città, di modo che dopo qualche tempo, il conservatorio suddetto s’è ridotto a claustrale convento, dove si fa formalmente la solenne professione. In questo dunque la suddetta mia figlia Agnesa in età d’anni 15 volle andare ad inserrarsi per servire Dio e la B.V., mutandosi il nome di Agnesa in Cristina, e la casata da Toscano in Cristina della Natività, dove persevera con grande fervore di spirito e sempre con avanzo a gloria di Dio e della B.V., vi entrò nell’anno 1686 di novembre>>.

[1]Annotazione inedita di Sabina Vitale.

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